Swartadauþuz è uno stakanovista, un workaholic, uno che se non scrive almeno un brano al giorno disprezza sé stesso perché ha sprecato la giornata. Il tempo passa e non torna indietro, non fare domani quello che potresti fare oggi, non ci sono più le mezze stagioni e tutto questo genere di cose. Pertanto si trova perfettamente a suo agio nel portare avanti, da solo o in compagnia, una quantità impressionante di progetti, tutti rigorosamente in ambito black metal e abbracciandone praticamente ogni sua sfumatura, dimodoché la sua irrefrenabile creatività non abbia alcun limite o costrizione.

Il suo gruppo più noto, per lo meno tra i rudi blackster di lunga militanza, sono i Bekëth Nexëhmü, i cui album cominciano tutti con “De”: De Dunkla Herrarna, De Svarta Riterna, De Camilla Cederna, De Vastare Salerna… Tutti più o meno così. Mi farò sicuramente dei nemici, ma io penso che i dischi dei Bekëth Nexëhmü siano tutti uguali e che ascoltatone uno li si è ascoltati tutti. Ma io sono la sparuta minoranza, e la gente acculturata si contende i loro vinili a suon di bigliettoni. Poi, tra gli altri, suona nei Bræ (decisamente migliori, ne parlai tempo fa), nei Muvitium, negli Gnipahålan, nei Greve e naturalmente negli Azelisassath, dei quali è uscito da poco il nuovo album a distanza di 7 anni dall’ultima fatica, l’EP Past Times of Eternal Downfall. L’opera s’intitola Ablazen Winds, che caso vuole sia anche il nick del soggetto che si occupa delle voci in questo recente episodio nonché il nome del progetto da egli stesso fondato un paio di anni fa, che se ben rammento suona war black metal – ma non ne sono sicuro, perché non è che mi siano venute le lacrime agli occhi ascoltandone l’unica demo.

Ablazen Winds è dunque il quarto full di questo ramo della sua azienda e, pur essendo il Nostro svedese fino al midollo, in prima battuta assomiglia ai DarkThrone in modo quasi smaccato. I due pezzi in apertura – l’omonima e Weakened Form – sono brevi, super-aggressivi, impostati su un tempo molto veloce e con riff monocorda costruiti in modo basilare; pochissime note sequenziali in tremolo, un’aura retrò che si sente lontano un chilometro, nulla cui eccepire salvo il fatto che cose simili le abbiamo ascoltate milioni di volte. Di qui in poi le cose cambiano, perché fanno la loro comparsa rocciosi mid-tempo che hanno il preciso intento di variegare le partiture, altrimenti, anche se il disco dura solo 32 minuti, sarebbe stato duro da reggere. Così Kingdom of the Past inizia con una bella trama di basso e chitarra un po’ meno minimale e si gradiscono inserti di tastiera tenuti in sottofondo, molto in secondo piano, e forse è proprio questa la caratteristica che li rende così gradevoli. Poi torna ad esplodere brutale come prassi ma si nota una certa voglia di non suonare unicamente come Under a Funeral Moon. Anche Carrion of Deceit, il brano centrale dell’album, di tutti il più lungo anche se a mala pena avvicina i cinque minuti, è impostato in prevalenza su un tempo non veloce accompagnato da riff cupi e tormentati, cosa che ritroviamo anche nei pezzi successivi che alternano parti meno aggressive ad altre sparatutto, prima che la conclusiva (trascuro la presenza di una delle outro più inutili di sempre) Dragged Through the Stars torni a picchiare duro come i due pezzi che aprono le danze.

Dunque, in questo album cose positive ce ne sono parecchie: è sintetico, i pezzi funzionano, hanno un bel tiro quando serve e buone atmosfere quando è necessario alzare il piede dall’acceleratore, il nuovo cantante sa il fatto suo grazie ad uno screaming appropriato e non esasperato, gli strumenti hanno tutti il giusto spazio per quanto riguarda arrangiamenti, produzione e mixaggio. L’unico suo problema è che, se si ascolta black metal da qualche annetto, viene spontaneo mettersi a cogitare che quel riff assomiglia a quello degli X, quell’altro a quello degli Y, poi l’altro ancora mi ricorda gli Z e ‘sta cosa dopo un po’ toglie una parte dell’entusiasmo. La mia prima reazione ascoltando Ablazen Winds è stata “eh la madonna che figata”, poi dopo qualche ascolto in più quasi ho smesso di sopportarlo, infine sono giunto al compromesso più veritiero che il giudizio più equilibrato sia a metà strada. Ascoltato ogni tanto piace, anche parecchio, ma se lo si mette nello stereo tutti i giorni alla lunga stufa. (Griffar)