Bologna, 16 dicembre 2025 – Un passaggio giudiziario che avviene in Sicilia produce un effetto a catena che arriva fino a Bologna, travolgendo una vita che sembrava finalmente rimettersi in piedi. È così che Maurizio Di Stefano, ex libraio anti-racket, vede sgretolarsi il suo progetto sotto le Due Torri: il ristorante Luccu, dedicato alla cucina siciliana e aperto in via Ranzani, a ridosso del polo universitario di viale Berti Pichat, è stato costretto a chiudere. Il motivo sta tutto in quei 150mila euro ottenuti dal fondo di solidarietà per le vittime di estorsione e usura, un sostegno pensato per consentirgli di ricominciare lontano dalla mafia e che oggi, a distanza di tempo, lo Stato gli chiede di restituire.

Vittima di estorsione, il dramma di Maurizio che deve restituire 150mila euro: “Ricominciare a 58 anni, il futuro è una nebbia”
Maurizio, innanzitutto come sta?

“Arrabbiato, deluso, abbandonato. Ma soprattutto incerto. Da quando ho chiuso il ristorante, la scorsa settimana, il futuro mi sembra davvero una nebbia. Ricominciare a 58 anni, dopo tutto quello che ho passato, non è semplice”.

Ci ricostruisce cosa è successo?

“Nel 2017 il commissario del Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura – io ero vittima di estorsione – aveva disposto per me un’elargizione di circa 150mila euro. Nel 2020 mi sono trasferito da Catania a Bologna con l’idea di cambiare vita e ho investito tutti quei soldi nell’attività, senza tenere nulla per me”.

E poi?

“Nel 2023 quel beneficio è stato revocato. Mi è arrivata una cartella esattoriale dell’Agenzia delle Entrate che mi chiede la restituzione integrale della somma”.

Per quali motivi?

“Perché, andando avanti i processi a Catania, è rimasto in piedi solo il reato di usura aggravata. Le accuse di estorsione, che all’inizio c’erano, sono state archiviate. Questo, secondo il tribunale civile di Catania, fa cadere i requisiti per il fondo antiracket”.

Lei ha impugnato la cartella ed è in attesa di un’udienza nel 2026. Perché allora chiudere il locale?

“Non ce la facevo più. Andare avanti con un’attività avendo sulla testa un debito del genere, senza la sicurezza di poter pagare dipendenti e spese, mi stava consumando. Sono anni che dormo pochissimo. Ho preferito fermarmi prima di crollare”.

Ha parlato di senso di abbandono.

“Sì, mi aspettavo una vicinanza da parte delle istituzioni quando sono iniziati questi problemi. Finché denunciavo la mafia ero un esempio, quasi un simbolo. Quando lo Stato si è messo contro di me, sono spariti tutti: politici, funzionari, persone che prima mi sostenevano”.

Fondi concessi e revocati, oste anti-racket getta la spugna e chiude

Maurizio Di Stefano, ex libraio anti-racket in Sicilia e poi ristoratore a Bologna, in una foto d’archivio, davanti al suo ristorante (foto Ansa)

Chi le sta dando forza in questo momento?

“La mia famiglia. Mia moglie e i miei due figli. Anche se, verso di loro, provo un forte senso di colpa”.

Perché?

“Perché se avessi saputo come sarebbe andata, non li avrei mai trascinati fino a Bologna. Ho cambiato la mia vita e anche la loro”.

Cosa le dicono sua moglie e i suoi figli?

“Che ne usciremo. Che resteremo uniti anche questa volta. Non è facile, ma a loro devo tutto. Io sono qui grazie alla mia famiglia: oggi, letteralmente, devo a loro la mia vita”.

Se fosse il momento di ricominciare, da dove ripartirebbe?

“Mi piacerebbe tornare alle origini, riaprire una libreria come quella che avevo a Catania, anche se ho paura di rivivere certi traumi. In alternativa sono disposto a lavorare nella ristorazione, magari in un locale di cucina siciliana. L’importante è rimettersi in piedi”.