TRIESTE. “Innanzitutto mi sento di tranquillizzare tutti in merito ai casi di lebbra rilevati nei Balcani”. Esordisce così Giorgio Palù, professore emerito di microbiologia e virologia dell’Università di Padova e già presidente dell’Aifa e della Società Europea di Virologia, nell’intervista rilasciata a Il Dolomiti, che lo ha interrogato sul fatto che nelle scorse settimane si sono tornati a registrare in Europa orientale almeno cinque casi di lebbra tra Romania e Croazia. Avete capito bene, proprio la lebbra, una malattia in grado di rievocare antiche suggestioni e che sembrava scomparsa dal vecchio continente.

 

“La lebbra è ancora endemica in parti del globo e non è mai scomparsa. Può creare una certa suggestione perché ci riporta alla mente narrazioni storiche drammatiche di lebbrosari e persone sfigurate  – prosegue Palù – ma oggi la situazione è molto diversa per via dei farmaci che abbiamo. La lebbra è causata da un batterio, il Mycobacterium leprae, chiamato anche bacillo di Hansen, che è effettivamente in grado di trasmettersi da uomo a uomo attraverso secrezioni mucose e respiratorie. È un’infezione che, analogamente a quanto accade con la tubercolosi, può interessare gran parte della popolazione. Ma sono tuttavia pochi i soggetti che poi si ammalano, e soprattutto è necessario un periodo di esposizione prolungato per contrarre l’infezione e possono passare anni  prima che si manifestino i segni della malattia”.

 

La lebbra in Romania mancava da oltre 40 anni. Qui sono stati registrati 2 casi confermati (entrambi cittadini indonesiani) mentre in Croazia è stato isolato un caso in un lavoratore straniero originario del Nepal. La presenza della lebbra in Europa, dove mancava da decenni, non è pertanto un segnale precoce di un’infezione destinata ad espandersi rapidamente come nel caso di epidemie virulente, quanto piuttosto il risultato di casi di importazione. 

 

E per quanto ad oggi siamo a conoscenza i casi accertati riguardano proprio persone di origine asiatica dove la lebbra è ancora presente, dall’India, al Bangladesh all’Indonesia. La malattia in queste zone, pur non incidendo pesantemente sulla mortalità generale, può portare a gravi lesioni e condizioni di disabilità, specie a fronte di diagnosi tardiva. In tal senso, conclude il professor Giorgio Palù, ”la lebbra spaventa oltre che per ragioni storiche anche per gli effetti che potenzialmente comporta, la malattia si manifesta infatti come un granuloma cutaneo, vale a dire una forte infiammazione che può lacerare la cute, tessuti ed organi (occhi, reni) con lesioni capaci di sfigurare l’individuo e  gravi lesioni ai nervi periferici con conseguente compromissione neurologica e sensitiva. Ma tutto questo nel nostro caso non avviene perché abbiamo i farmaci con cui curarla adeguatamente e per tempo, grazie anche alla lentezza con la quale la malattia progredisce, come ad esempio il Dapsone ed altri ancora, quindi non c’è da preoccuparsi”.