di Camilla Baresani

Una lezione con il coreografo brasiliano da sei milioni di follower, che non è un adone ma fa esplodere la gioia quando si muove

Milano, dieci e mezza di un mattino di luglio. È una delle giornate più caldo-umide dell’anno. Sono appena entrata nel rovente cortile dell’albergo Aethos. Ai margini dello spiazzo, due ombrelloni proiettano un quadrato d’ombra, in cui cerca di stringersi una quarantina di persone. Su un tavolo, bicchieri e brocche d’acqua fredda, mentre in un angolo sono accumulate le borse dei presenti. La maggior parte delle persone in attesa sotto gli ombrelloni è fatta di giovani donne in tenuta da palestra. I colori squillanti delle sneakers tappezzano l’asfalto. Qualche donna è più anziana, non snella, e ci sono pure maschi sparuti, oltre a un paio di bambine.

Ascolto le chiacchiere. Un bancario di Bologna dice che la moglie e la figlia lo criticano per aver voluto essere lì a tutti i costi. Una nonna di Udine spiega che le nipoti la prendono in giro da giorni. Una ragazza francese che compie gli anni è stata iscritta e portata lì a sorpresa da alcune colleghe di lavoro. Una donna mi chiede in inglese che lavoro faccio, come mi chiamo, perché sono lì. Le rivolgo le stesse domande. Carole Koch arriva da Zurigo, è una giornalista, vuole scrivere un reportage sull’esperienza che tutti stiamo per vivere: una lezione del celebre coreografo brasiliano Justin Neto, uno che sui vari social totalizza sei milioni di follower. 



















































Tutti stiamo aspettando la comparsa del fenomeno che insegna le coreografie delle canzoni dance alle persone qualunque. Benché la prima sponsor di Neto sia una celebrity mondiale, la sua conterranea Gisele Bündchen, chi segue su Instagram i reel delle lezioni di Neto non si sente tagliato fuori, perché lo vede ballare con allievi di tutti i generi, brutti e belli, magri e grassi, adolescenti e vecchi, alti due metri o ancora bambini.

Resta da chiedersi che ci faccia lì proprio io, con la mia pressione bassa nelle avverse condizioni metereologiche milanesi, ossia 35 gradi con sole a picco sull’asfalto e zanzare svolazzanti. È andata così: un giorno dello scorso inverno, leggo sul Corriere che un manipolo di fortunati piovuti a Milano da tutta Italia è riuscito a iscriversi a una delle 4 lezioni di Justin Neto, fenomeno che spopola nel mondo privo di confini geografici dei social. 

Per curiosità lo cerco e da quel momento ogni volta che passo da Instagram mi viene riproposto. Mi diverte, mette allegria con i suoi reel indolori in un mondo di invasioni, soprusi, femminicidi. La scena si svolge sempre in una palestra di New York, oppure di Rio, o di Parigi, dove insomma lo portano le tappe dei tour. Alle sue spalle, mentre balla, si vedono una quarantina di adepti più o meno sciolti e capaci, nessuno bravo come lui che è giovane, traccagnotto, con pochi capelli, le gambe smilze e il busto corposo, insomma non un adone, ma sprizza simpatia e soprattutto quando si muove gli esplode la gioia addosso, tutto il suo corpo è mobile, non c’è muscolo che rimanga inutilizzato. 

In breve, l’algoritmo fa diventare Neto la cosa più pervasiva del mio Instagram. Io, che sono sempre stata una ragazza e poi una donna tappezzeria, imbarazzata, rigida, vergognosa, priva di senso del ritmo, gioisco per lui e la sua dinoccolatezza, e anche per quella meno estrema dei partecipanti alle sue lezioni. E poi la musica, le canzoni: tutto il repertorio da me più detestato, l’orrenda disco music anni 90, che d’improvviso mi pare ascoltabile. E dunque Britney Spears a gogò: lei è l’idolo di Neto che da adolescente, incollato alla televisione a João Pessoa, nord est del Brasile, ha iniziato a ballare proprio imitando i suoi passi: Baby One More Time e Oops!…I Did It Again. Poi la Whitney Houston di I Wanna Dance With Somebody. E Hips Don’t Lie di Shakira, Shake it Off di Taylor Swift, Lady Gaga, Beyoncé. 

E, ovviamente, Madonna. Sta di fatto che a un certo punto archivio persino un paio di suoi tutorial, chissà mai che in un remoto domani, sola davanti allo specchio, io possa imparare i passi di quell’inno al ballo che è La Isla Bonita. Rimane uno dei miei tanti propositi inattuati sinché, ai primi di giugno, passando da Instagram scopro che Neto sta per tornare a Milano e ha appena fissato 4 lezioni in luglio, 2 in una palestra al Gallaratese, dove si suppone abbiano l’aria condizionata, esaurite in un battibaleno, e 2 all’aperto in piazza XXIV Maggio. C’è ancora posto in una delle due all’aperto. La lezione costa 70 dollari, al cambio attuale come una cena in trattoria. Di slancio, mi iscrivo.

A ridosso del giorno dell’appuntamento, Milano precipita nella tipica ondata di calore, per cui i giornali raccomandano di stare all’ombra e bere tanta acqua. Io, invece, alle dieci del mattino attraverso la città in bicicletta (abito al capo opposto), dato che piazza XXIV Maggio è per giunta una delle poche zone dove non arriva il metrò. Ma perché la lezione proprio lì?, mi chiedo mentre pedalo sotto il sole tra pavé e binari del tram. Lo scoprirò poco dopo. È l’albergo dove scende Neto quando viene a Milano, e immagino che si tratti di un cambio merce: lui pubblicizza l’hotel facendo lezione nel cortile, con i suoi reel che girano il mondo, e l’hotel ospita lui e il suo staff.

Torniamo nel piazzale. Eccitazione. Alle 10,35 Neto compare. Ovazioni, gridolini. Anche lui grida, tutti sono entusiasti. Io, furbetta, mi piazzo sotto un ombrellone, con pochi altri furbetti, la restante truppa sotto il sole assassino. Neto, con senso della giustizia, ingiunge che dopo ogni canzone si cambi, chi è all’ombra vada al sole e viceversa. Vigliaccamente, starò quasi tutta l’ora all’ombra. 

Parte la musica, partono le spiegazioni dei passi, velocissime, nemmeno il tempo di pensarci e tutti a ballare. Lui grida, balza, spiega, canta, incoraggia. Capisco che non è solo un salto musicale nella disco music degli anni 90, ma sto precipitando in un villaggio vacanze, in un Club Med con l’animatore bravo, un Fiorello 2.0, quel tipo di vacanza che andò di gran moda alla fine del secolo scorso — i buffet, gli sport, gli animatori, anche gli amori, i tucul e le palme —, tutto incluso nel pacchetto vacanze prepagato. 

Neto prende una come me, che ha desiderato ballare bene tutta la vita ma non ci ha mai provato, una che al Plastic (quando ci andavo negli anni 80) stava a fondo pista a guardare Alba Parietti giovane e stupenda che ballava da sola, una che nei momenti di euforia quando alle feste qualcuno prova a trascinarla in pista si fa di marmo, i piedi infitti nel pavimento, e la trasforma in una ragazza volenterosa che esegue divertita e goffa i movimenti di Neto, sbagliandoli tutti, ridendo, prendendosi per mano con gli altri, e tutti a saltare, i bravi e meno bravi, in una specie di rito collettivo antiscrolling e antiselfie, complici di una comunanza che non giudica, non compete, non è virtuale. Il tutto in un mattino infrasettimanale milanese, dove i partecipanti hanno un lavoro ma hanno preso un permesso per essere lì, come quando si va dal medico e invece il permesso è per andare a divertirsi.

Canzone dopo canzone, termina l’ora senza che io abbia mai guardato l’orologio. Sono sudata, non so perché ci si abbraccia con altre sudate e con Neto che si mette a disposizione per fare un selfie con ognuna di noi, per consegnarci l’immagine da portare a casa e postare. Baci, promesse, ci rivediamo. La prossima volta, a novembre. 

Dal giorno seguente, Neto pubblica nelle storie di Instagram i reel realizzati dai collaboratori. Eccomi lì, a fondo piazzale, mentre salto, mi piego, mi scuoto e rido e sbaglio mosse, e però sono in sintonia col gruppo. Neto, nel frattempo, è volato a Parigi, e pubblica nuovi reel in cui dice di amarla moltissimo (gelosia: ma non aveva detto quanto amava soprattutto Milano?), e poi Londra (e ama anche Londra, il traditore), e ora è tornato a casa, se lo guardate su Instagram sta facendo lezioni a New York, e quanto ama pure Manhattan.

3 agosto 2025 ( modifica il 3 agosto 2025 | 18:08)