di
Federico Fubini
L’Europa ha dato il via libera a un prestito – di fatto, attraverso degli Eurobond – da 90 miliardi di euro per Kiev, che altrimenti sarebbe rimasta completamente senza risorse da marzo. La Germania puntava all’utilizzo delle riserve russe congelate
Alla fine è stata la Germania a fare un passo indietro, per permettere una soluzione per sostenere finanziariamente l’Ucraina anche nel 2026. Italia e Francia, sostanzialmente schierati con il Belgio, hanno mantenuto fino in fondo la loro sostanziale contrarietà all’uso delle riserve congelate russe. La Germania invece ha ritirato la propria all’idea di un debito comune europeo da 90 miliardi di euro, garantiti dal bilancio europeo, che verranno «prestati» all’Ucraina.
L’intesa è che l’Ucraina debba rimborsare solo se la Russia accetterà di pagarle riparazioni per i danni, le uccisioni di civili e le distruzioni di guerra.
Se la Russia non pagherà le riparazioni (come molto probabile), l’Ucraina non dovrà rimborsare l’Unione europea e il debito comune europeo sarà coperto con lo spazio che resta nel bilancio di Bruxelles.
I fondi che saranno stanziati, 90 miliardi di euro, sono sufficienti a sbloccare l’impasse finanziaria del governo di Kiev, che con marzo avrà del tutto esaurito le sue risorse. Non sono sufficienti, tuttavia, a dare all’Ucraina la visibilità a due anni che lo sblocco delle riserve russe fra 140 e 210 miliardi di euro avrebbe consentito. Solo il costo delle operazioni militari per Kiev supera ampiamente i 50 miliardi di euro all’anno e più più ci sono spese civili.
Dunque ora l’Ucraina avrà delle risorse, ma viene meno uno degli obiettivi dell’operazione: dare al Cremlino il segnale che Kiev avrebbe potuto riarmarsi e resistere a lungo, per almeno altri due anni; questo avrebbe potuto generare una deterrenza e creare più dubbi nelle élite di Mosca sulla sostenibilità del progetto di guerra di Vladimir Putin.
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1. Cosa sono le riserve russe congelate?
La banca centrale russa, come molte banche centrali di Paesi emergenti, negli anni ha riciclato i suoi surplus da export di petrolio, gas e altre risorse naturali in valuta di riserva (la stessa in cui la Russia era pagata per il suo export). Ciò ha comportato che da Mosca si sia investito centinaia di miliardi in euro dollari e, in misura minore, yen giapponese e sterline britanniche attraverso titoli pubblici dei Paesi emittenti quelle monete. Questo denaro era detenuto in gran parte presso grandi banche commerciali in quegli stessi Paesi (nel caso degli investimenti in euro, in gran parte in Austria, Francia e Germania). Dopo la prima ondata di sanzioni scattata con l’annessione della Crimea nel 2014, Mosca aveva fortemente ridotto la quota delle proprie riserve in dollari custodite negli Stati Uniti a una somma fra circa 10 miliardi di dollari. Nel 2022, all’inizio dell’aggressione totale all’Ucraina, le quote detenute nell’Unione europea valevano circa 210 miliardi di euro, quelle in Giappone (in yen) e in Gran Bretagna (sterline) circa 20 miliardi di dollari ciascuna.
In quel momento i Paesi del G7 e dell’Unione europea presero una decisione nella quale l’Italia ebbe un peso fondamentale, grazie al ruolo dell’allora premier Mario Draghi: congelarono le riserve sovrane russe; queste restavano di proprietà della banca centrale di Mosca, tuttavia essa non ne aveva più disponibilità. L’obiettivo era di ridurre le risorse a disposizione della Russia per portare avanti la guerra.
2. Cos’è e cosa c’entra Euroclear nella partita delle riserve?
Euroclear è una piattaforma finanziaria europea con base a Bruxelles (che vede fra i suoi primi azionisti anche la banca centrale cinese, attraverso un veicolo finanziario collocato alle Isole Vergini britanniche) che svolge una funzione poco visibile, ma vitale: gestisce i depositi e i regolamenti, cioè i flussi di pagamenti e le consegne, nel mercato europeo delle obbligazioni. In sostanza, quando un bond arriva a scadenza è presso Euroclear che l’ente debitore versa la liquidità al soggetto creditore. È un mercato immenso, da 400 mila miliardi di euro all’anno. E quando i bond europei di proprietà della Russia sono arrivati a scadenza i Paesi debitori hanno versato il rimborso presso Euroclear, come sempre in questi casi. Ma Euroclear non ha potuto girare i proventi alla Russia proprio perché quelle riserve sono “congelate”. Dunque sono rimasti in deposito presso la piattaforma, attualmente per 185 miliardi di euro. Altri 20 miliardi di euro circa di riserve russe, in bond europei non ancora arrivati a scadenza, sono custoditi presso grandi banche francesi.
3. Esistono alternative all’uso delle riserve russe?
Esistono, ma fino a questa notte si sono scontrate con l’ostilità della Germania e dei Paesi nordici a creare nuove forme di fondi comuni europei. Alla fine l’idea di un eurobond per finanziare l’Ucraina, sempre malvisto in Germania, è rimasta la sola sul terreno una volta caduto il progetto dell’uso delle riserve congelate. L’emissione di debito comune europeo si ferma a 90 miliardi di euro (a fronte degli 800 miliardi del fondo creato per il Recovery) perché queste solo le riserve inutilizzate del bilancio di Bruxelles che possono garantire l’operazione. Va dato atto al cancelliere tedesco Friedrich Merz di aver dimostrato più flessibilità e forse anche più senso della responsabilità dei suoi colleghi di Italia e Francia, Giorgia Meloni e Emmanuel Macron. Alla fine è stato Merz ad aver accettato il sacrificio politico di una scelta che sarà senz’altro impopolare nel suo Paese, pur di sostenere l’Ucraina. Sarebbe stato anche possibile usare le rimanenze dei prestiti del Recovery che i governi non hanno richiesto (94 miliardi) o le risorse del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), che potrebbero arrivare a varie centinaia di miliardi di euro. Ma queste due ultime opzioni non sono mai entrate nella discussione.
4. Cosa ha fatto Euroclear con le riserve russe fino ad ora?
Le ha gestite con investimenti a bassissimo rischio. Circa 50 miliardi sono accantonati e investiti in maniera leggermente più propositiva per generare dei rendimenti destinati a rimborsare, entro almeno dieci anni, i Paesi dell’Unione europea e del G7 che nel 2024 hanno anticipato a questo scopo un “prestito” da 50 miliardi di dollari all’Ucraina. Il resto dei fondi russi di Euroclear è depositato in gran parte su un conto presso la Banca centrale europea, che rende oggi il 2% annuo. Euroclear genera dunque dei profitti dalle sue attività sulle riserve russe, i quali legalmente non appartengono a Mosca ma a Euroclear stessa. Su questi profitti dal 2022 Euroclear ha versato 1,2 miliardi in tasse al governo belga, che si era impegnato a girare tali proventi fiscali straordinari all’Ucraina (ma pare non l’abbia fatto, suscitando le ire degli altri governi). Di certo, solo per gestire le riserve russe Euroclear occupa circa duecento persone: un esercito di broker finanziari e soprattutto avvocati impegnati ad assicurare il rispetto del regime delle sanzioni.
5. Perché l’Unione europea oggi discute l’uso dei beni russi?
La svolta arriva con la decisione dell’amministrazione americana di Donald Trump di smettere di aiutare l’Ucraina con fondi ed armi. Gli Stati Uniti dal 2022 alla fine dell’anno scorso avevano contribuito per circa 10-15 miliardi di dollari a trimestre e l’Unione europea, inclusi i Paesi che ne fanno parte, circa altrettanto. Ma la fine dei contributi americani impone di fatto all’Europa di raddoppiare i propri sforzi finanziari per sostenere l’Ucraina. E poiché i politici ritengono che le opinioni pubbliche nel continente non accetteranno maggiori sacrifici per finanziare Kiev, si è affacciata l’idea di utilizzare le riserve russe (almeno per 140 miliardi di euro, poiché circa 50 miliardi sono già bloccate per coprire il prestito del 2024). A determinare un’accelerazione è stata la Germania, quando in autunno il cancelliere Friedrich Merz ha esplicitamente proposto questa mossa. Fino ad ora era rimasta per molti un tabù, perché sequestrare le riserve sovrane di uno Stato (esse appartengono ai cittadini russi oggi e in futuro, non a Vladimir Putin) significherebbe per l’Unione europea collocarsi nell’illegalità internazionale.
6. Come è strutturato lo schema per l’utilizzo delle riserve russe?
La priorità per l’Unione europea è di mantenere il rispetto della legalità internazionale. Per questo, formalmente, il piano per l’uso delle riserve non prevede un sequestro. Esso piuttosto presuppone che un tribunale internazionale, in via di costituzione, valuterà le richieste di indennizzi di cittadini, imprese e dello Stato ucraino per circa 600 miliardi di euro (ma crescono ogni giorno, con le nuove distruzioni) e condannerà Mosca a versare a Kiev riparazioni di guerra, appunto per centinaia di miliardi di euro. L’uso delle riserve sarebbe un anticipo su quelle riparazioni, strutturato come segue: la Commissione europea contrae un debito con Euroclear pari all’ammontare delle riserve utilizzabili (140 miliardi di euro), consegnando alla piattaforma un titolo di credito in cambio della liquidità di proprietà della Russia. Con quel denaro, la squadra di Ursula van der Leyen potrebbe estendere per rate un “prestito” all’Ucraina in anticipo delle riparazioni: se la Russia accetterà di versare davvero quelle riparazioni – uno scenario improbabile – allora l’Ucraina dovrebbe rimborsare la Commissione europea e questa dovrebbe rimborsare Euroclear. Se invece Mosca rifiutasse di versare riparazioni all’Ucraina, si intende che le riserve russe sono automaticamente convertite in indennizzi per Kiev. Nella sua ultima proposta, von der Leyen ha persino prospettato che anche i 20 miliardi in deposito presso le banche francesi siano utilizzati nello stesso modo: ma si tratta bond non ancora scaduti, complicando il quadro.
7. Quali sono gli argomenti a favore dell’uso delle riserve russe?
Trovare fondi è urgente, perché il governo di Kiev non ha riserve per arrivare oltre il prossimo mese di marzo. Ma soprattutto accantonare 140 miliardi a favore dell’Ucraina significa garantire al Paese aggredito risorse per altri due anni di guerra, per produrre e acquistare mezzi di difesa. Ciò darebbe a Putin il segnale che il suo disegno di portare Kiev all’esaurimento delle risorse, per poi far crollare la sua resistenza, è destinato a fallire. La Russia non è sull’orlo di un tracollo economico o istituzionale, ma non è affatto certo che abbia ancora la capacità finanziaria e demografica di sostenere attacchi dell’attuale intensità per altri due anni. Un chiaro impegno finanziario di medio-lungo termine dell’Europa a favore dell’Ucraina potrebbe dunque indurre Putin a cambiare i suoi calcoli o le élite politico-burocratiche e degli affari a Mosca a vedere Putin stesso in una luce meno favorevole. Ciò, a un certo lungo, potrebbe incrinare gli attuali assetti del potere dentro e attorno al Cremlino.
8. Quali sono gli argomenti contro l’uso delle riserve?
Resta il dubbio che lo schema proposto dalla Commissione europea – un anticipo sulle riparazioni – non regga al vaglio di un ricorso della Russia presso un tribunale internazionale. Se l’operazione venisse giudicata un esproprio, allora Euroclear potrebbe essere condannata a rimborsare Mosca e sarebbe in difficoltà nel farlo: la piattaforma di Bruxelles disporrebbe infatti solo di un titolo di credito vantato presso la Commissione europea, non di liquidità; e la Commissione europea avrebbe già passato il denaro liquido a Kiev. Serve dunque un meccanismo per permettere a Euroclear di trovare denaro fresco qualora dovesse rifondere la Russia, ma il progetto della Commissione è tale che Euroclear non potrebbe neppure prendere fondi in prestito dalla Bce. Inoltre, la Francia teme che altri Paesi del Golfo o dell’Asia non vorrebbero più piazzare le loro riserve sovrane in euro nel caso in cui l’Unione europea creasse il precedente dell’uso dei beni russi. Ma è vero che di fatto l’Unione europea ha fatto default verso Mosca quando non le ha rimborsato i suoi bond scaduti, in quanto già congelati. E sui mercati non si è vista alcuna reazione negativa.
9. Quali sono gli schieramenti dei diversi Paesi europei?
Il Belgio è fortemente contrario all’uso delle riserve, perché teme di essere chiamato a rispondere quasi da solo per Euroclear in caso di condanna dell’intero schema europeo in un tribunale internazionale. L’Italia e la Francia sono decisamente fredde, perché non intendono offrire onerose garanzie al Belgio (per oltre 20 miliardi di euro ciascuna) e perché temono le ritorsioni di Mosca sugli impianti, le partecipazioni e i conti delle loro imprese rimaste ad operare in Russia (fra le altre, TotalEnergies, Unicredit, Cremonini, Ferrero).
L’Ungheria e la Slovacchia hanno le solite posizioni non ostili a Putin. Inoltre la Russia a prospettato agli Stati Uniti la prospettiva di un fondo comune basato su quelle riserve, per il business della ricostruzione; dunque Donald Trump probabilmente ha esercitato pressioni sulla sua alleata Giorgia Meloni, perché l’Europa non mobilizzi da sola i beni di Mosca.
A favore dello schema invece sono soprattutto Germania, Olanda, Paesi scandinavi, Paesi Baltici, Polonia e Romania, ma con il supporto anche di Spagna, Portogallo e Paesi balcanici dell’Unione europea e Bulgaria.
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19 dicembre 2025 ( modifica il 19 dicembre 2025 | 10:48)
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