di
Giuseppe Sarcina
L’inviato russo discute il piano Washington-Kiev-Bruxelles. Resta l’eterno nodo dei territori
La «formula Berlino» alla prova di Mosca. Ieri pomeriggio, a Miami, (quando era notte in Italia) si sono incontrate le delegazioni di Stati Uniti e Russia per un primo confronto sul piano di pace messo a punto da ucraini, europei e americani, martedì scorso, nella capitale tedesca. In un primo momento si era capito che per gli Usa sarebbero stati presenti solo Steve Witkoff e Jared Kushner, rispettivamente il più stretto consigliere e il genero di Donald Trump. Poi, si è saputo che ai colloqui avrebbe partecipato anche il segretario di Stato, Marco Rubio. Vladimir Putin, invece, ha incaricato il suo fiduciario, senza cariche formali, il finanziere Kirill Dmitriev che, alla fine, ha definito «costruttivo» il confronto con il team Usa e ha annunciato che le riunioni andranno avanti anche oggi.
Secondo Volodymyr Zelensky, gli americani vorrebbero proporre ai russi di organizzare un summit trilaterale anche con gli ucraini. È un obiettivo che Donald Trump insegue da ormai quattro mesi, dal vertice in Alaska con Putin il 15 agosto scorso. Zelensky si è già dichiarato disponibile, sostenendo che dovrebbero intervenire anche i Paesi europei. Tuttavia, una trattativa allargata a tutte le parti può iniziare solo se esiste un minimo di convergenza sulle questioni fondamentali. Nella conferenza stampa di fine anno di venerdì, Putin ha detto che «ora la palla è nel campo degli ucraini, la Russia ha già accettato dei compromessi».
Il numero uno del Cremlino si riferisce allo schema in 28 punti, elaborato da Witkoff e Dmitriev e pubblicato lo scorso 20 novembre. Quali sarebbero i «compromessi» evocati da Putin? Mosca sembra accettare l’ingresso dell’Ucraina nella Ue. Su tutto il resto, oscilla tra il «net» secco e una certa ambiguità. A Berlino, europei e americani avevano concordato lo schieramento di una forza multinazionale in Ucraina. Ipotesi bocciata in partenza dai russi, così come la possibilità di rafforzare l’esercito di Zelensky. Ma l’ostacolo principale resta la questione territoriale. Putin insiste: tutto il Donbass, compresa la parte ancora controllata dai soldati di Kiev, «appartiene» alla Russia.
Venerdì, sempre a Miami, Witkoff, Kushner, l’ucraino Rustem Umerov nonché alcuni diplomatici di Francia, Germania e Regno Unito si erano confrontati in vista dell’incontro tra gli americani e Dmitriev. Tra le altre cose si è parlato di elezioni in Ucraina. Putin continua a delegittimare Zelensky e il suo governo, chiedendo un voto immediato e offrendo una tregua per il solo giorno elettorale. Nello stesso tempo, però, l’Armata russa continua a bombardare il Paese che ha aggredito. In questi giorni è stato il turno di Odessa: ieri almeno 8 morti.
Zelensky replica che servono rigide misure di sicurezza per consentire ai cittadini ucraini di andare alle urne. Il leader di Kiev, però, teme che anche Trump possa usare questo argomento contro di lui. Ecco perché, ieri, ha giocato d’anticipo: «Se a Washington sollevano questo problema, significa che sanno come aiutarci per garantire elezioni sicure. O la fine della guerra, o un cessate il fuoco o almeno un cessate il fuoco durante le elezioni». Solo in questi casi si potranno aprire i seggi, coinvolgendo anche gli ucraini che vivono all’estero.
La trattativa, comunque, resta molto complicata. Tanto che Rubio ha sentito il bisogno di chiarire: «Non possiamo forzare né l’Ucraina né la Russia a concludere un accordo».
L’atmosfera è sempre tossica. Rubio ha stroncato le insinuazioni che i negoziatori Usa stiano favorendo le posizioni russe. Zelensky ha respinto l’accusa, soprattutto russa, ma non solo, di voler proseguire la guerra «per rimanere attaccato alla poltrona».
Infine, il Wall Street Journal ha pubblicato un lungo articolo in cui racconta «come Putin abbia ottenuto il suo inviato preferito», cioè Witkoff. Secondo il quotidiano newyorkese sarebbe stato Putin a imporre a Witkoff di presentarsi a Mosca sempre da solo, senza consiglieri della Cia. L’ex immobiliarista sarebbe entrato in sintonia con il Cremlino grazie all’amicizia con il finanziere Dmitriev, che ieri lo ha difeso così: «Più si avvicina la pace, più disperati diventano gli attacchi contro i costruttori di pace da parte della lobby della guerra e dei falsi media».
20 dicembre 2025 ( modifica il 20 dicembre 2025 | 23:55)
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