«Non so, non ricordo». È un susseguirsi di silenzi e contraddizioni la ricostruzione che Laura Casagrande, la compagna di scuola, indagata dalla procura di Roma per false attestazioni al pm, fa di quell’ultimo giorno in cui ha visto Emanuela Orlandi. Sentita come persona informata sui fatti nel 2024 è tornata negli uffici giudiziari venerdì, ma questa volta in un’altra veste e accompagnata dal suo legale. Perché dagli ultimi atti di indagine dei carabinieri sono emerse evidenti contraddizioni. E non solo con quanto dichiarato nell’83, quando l’allora ragazzina aveva fornito versioni discordanti, ma anche rispetto a quanto dichiarato lo scorso anno agli stessi inquirenti.
Pure davanti alla commissione parlamentare, che indaga sul caso Orlandi, Casagrande ha fornito spiegazioni sui racconti contraddittori resi a polizia e carabinieri. Eppure è stata lei l’ultima persona a vedere la quindicenne poi sparita, i componenti della commissione, che hanno secretato una parte del verbale e intendono risentirla non più in forma di audizione, ma come testimone sotto giuramento, dicono che «ci sono elementi concreti che inducono a sostenerlo». Secondo l’ultima versione, resa ai parlamentari, lei quel giorno Emanuela non l’avrebbe proprio vista uscire dalla scuola di musica.
I vuoti di memoria
Per i suoi silenzi Casagrande si è detta mortificata e ha spiegato: «Io ero e sono una persona molto emotiva e ho imparato come tecnica, come avrete visto, a rimuovere per andare avanti. Ho avuto diversi esaurimenti nervosi nel corso della mia vita. La mia storia non è finita quel giorno. Purtroppo, una tecnica che uso molto spesso, altrimenti non vado avanti, è quella di accantonare, perché ci sono troppe cose nuove a cui dover far fronte. Veramente mi scuso, ma tante cose non le ricordo più». Eppure il pm Stefano Luciani che coordina la nuova inchiesta sulla scomparsa di Emanuela non le ha creduto. È a casa sua che arriva la telefonata di un uomo con accento mediorentale nel luglio dell’83: a sua madre chiedeva se volessero collaborare e, mentre la signora non riusciva a scrivere per lo stress, era stata lei a prendere il telefono e a scrivere il lungo messaggio che con la mamma aveva consegnato all’Ansa. A quell’uomo Casagrande, «una bambina», come lei stessa sottolinea più volte, aveva chiesto anche come avesse avuto il suo numero di telefono.
Le contraddizioni
Subito dopo i fatti Casagrande dichiara a verbale alla squadra mobile di avere visto Emanuela alla fermata degli autobus 70 e 26. Poi dice ai carabinieri: «Ricordo di averla vista da lontano, mentre frettolosamente si avviava verso l’autobus, perché doveva andare via di fretta». Ogni tanto si girava e la vedeva, ma poi non l’ha più vista. Ma in commissione l’anno scorso, ha cambiato ancora versione: «Il ricordo che ho impresso di quel giorno è che non venne alla lezione di coro. La aspettavo, perché era una delle ragazze con le quali avevo più legato. Non la vidi arrivare o arrivò molto tardi, a lezione cominciata. Poi, non ho assistito all’uscita. Non uscimmo insieme, me ne sarei ricordata. Ricordo, però, questa cosa di un ritardo o che uscì prima dalla lezione».
È stato il deputato Roberto Morassut a stigmatizzare le contraddizioni: «Le due dichiarazioni, fatte a poca distanza una dall’altra, non collimano – ha osservato – E adesso ci dice, sostanzialmente, di non averla vista». Casagrande ribadisce: «Ho un vuoto totale. Non ricordo di averla vista, non ho quell’immagine di cui lei mi ha letto. Ricordo che è arrivata tardi, ma questa è l’unica cosa che ho conservato». Ma la donna non ricorda neppure di avere dichiarato che lei ed Emanuela erano state presentate da una terza persona, né le altre ragazze della scuola, né di avere ricevuto una chiamata da suor Dolores, che dirigeva l’istituto, alle 5 del mattino e poi alle 11. Anche in quell’occasione alle domande della religiosa aveva risposto in modo vago.
Gli altri buchi
Nella sua memoria non è rimasto neppure il fatto che la suora, nei giorni successivi, le avesse mostrato le foto di altre ragazze, per capire chi fosse con Emanuela, e lei non sapesse indicare chi fossero gli amici con cui sarebbe stata Emanuela. Ed è il presidente della commissione, Andrea De Priamo, a stigmatizzare: «Capisce bene che, per una commissione parlamentare, è difficile poter digerire una risposta del genere. Emanuela, uscendo, le disse che andava di fretta e doveva uscire presto perché qualcuno le aveva proposto un lavoro? La famosa storia dei volantini. Risulterebbe, dagli atti, che lei disse che andava di fretta, che doveva uscire presto perché aveva trovato un lavoretto e dovevano darle dei volantini da distribuire. Questo lo disse a lei, secondo gli atti. Lei ricorda questa circostanza?». Ma ancora una volta la risposta è la stessa: «È stato quel giorno lì? L’ultimo giorno?». Anche Morassut incalza: «Rispetto a questo, non credo che lei non possa avere fissato nella memoria il giorno della scomparsa di Emanuela. Credo che, per quanto siano passati tanti anni, sia un evento che appartiene ormai alla storia d’Italia».
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