Descrive il confine orientale italiano senza caricature, non solo come ambientazione naturale, ma soprattutto con la sua cultura e i suoi abitanti. Una scelta artistica coraggiosa.

“È il mio modo di vivere il territorio, muovendomi senza fermarmi davanti a un confine. Una cosa naturale per me. Vedo le diversità come ricchezza, e mi piace raccontare, in modo non ideologico, un posto abitato da due popolazioni, cosa che rende questa terra interessante. Per girare “Zoran” ho scelto il confine italo-sloveno, mentre per questo film ne ho voluti addirittura tre di confini, un caso più unico che raro. Girando in macchina si vede questa cosa, genti diverse ma allo stesso tempo molto simili.”

Matteo Oleotto è un regista goriziano classe 1977. Nel 2001 si è diplomato alla Civica Accademia d’Arte Drammatica “Nico Pepe” e nel 2005 ha completato gli studi al Centro sperimentale di cinematografia di Roma. Nel 2013 ha esordito al cinema con la commedia “Zoran, il mio nipote scemo”, che ha ricevuto ottimo riscontro da parte di pubblico e critica. Si è poi dedicato al piccolo schermo, firmando serie per Rai e Netflix come “Volevo fare la rockstar”, “Eppure cadiamo felici” e “Maschi veri”. L’8 gennaio 2026 uscirà il suo secondo film al cinema, la commedia nera “Ultimo schiaffo”, girata interamente nel Tarvisiano. Prodotto da Staragara It Srl, società fondata a Gorizia nel 2021, e distribuito da Tucker Film, “Ultimo schiaffo” è descritta dal regista come “una storia di un gruppo di perdenti che tentano tutti i giorni di restare a galla, una ballata di provincia dagli sviluppi polizieschi, neve, ghiaccio, piccoli grandi crimini e la natura come antagonista”. Protagonisti della vicenda sono due giovani e scalcagnati tuttofare di montagna, i fratelli Petra e Jure, che vivono di espedienti, leciti e meno. La provvidenziale scomparsa del cane Marlowe promette loro una “lauta ricompensa”, ma la storia prende una piega inaspettata, in cui ogni personaggio diventa parte di un rovinoso effetto domino.

Sono passati ben 12 anni dal suo ultimo lungometraggio, il fortunato “Zoran”, e nel frattempo si è dedicato a serie e film tv. Cosa l’ha spinto a tornare sul grande schermo?

“Devo dire che ‘Zoran’ è andato benissimo, troppo bene rispetto alle mie aspettative. Per cui sono ricaduto nella ‘paura del secondo film’: sentivo che ogni idea poteva essere troppo simile a Zoran, o che comunque non mi piacesse. La televisione mi ha fatto crescere, soprattutto dal punto di vista tecnico. Infatti non è facile girare un film sulla neve in cinque settimane e mezzo, come abbiamo fatto per ‘Ultimo schiaffo’, ed è stato possibile farlo grazie all’esperienza maturata con le serie. Questo film l’ho girato lavorando con tanti coetanei, forse nel nostro momento migliore, ora che abbiamo tanta esperienza ed energia: con ‘Zoran’ avevamo ancora più energia, ma meno esperienza. Desideravo tornare al cinema perché volevo divertirmi di nuovo con le immagini, non avevo nemmeno una storia ben chiara in mente, insieme gli sceneggiatori avevo più che altro suggestioni. Ci siamo lasciati guidare dal film stesso e dai personaggi.”

Il sodalizio artistico con Giuseppe Battiston continua anche nel suo ultimo film, seppur con una piccola parte. Cosa lo rende insostituibile?

“È un attore che porta un mondo che mi piace e che mi diverte sempre. Per un progetto così ‘da battaglia’ come ‘Ultimo schiaffo’ avevo bisogno di persone che potessero darmi una mano in caso di difficoltà. Battiston è un amico oltre che un interprete dei miei film, volevo averlo a bordo seppur per un breve tratto. Poi desideravo sganciarmi da quell’immagine di un regista che lavora sempre con lo stesso attore come protagonista, per me il cinema è anche scoperta di nuove persone. Giuseppe è stato meraviglioso come sempre.”

Matteo OleottoMatteo Oleotto

Gli attori principali – Adalgisa Manfrida e Massimiliano Motta – hanno dato grande intensità ai personaggi di Petra e Jure.

“Io sono uno di quei registi che è sempre presente ai casting, voglio vedere i ragazzi dal vivo, in modo da poter man mano costruire i personaggi anche da un punto di vista fisico. Quando ho incontrato gli attori che sarebbero poi diventati i protagonisti, dopo aver visto così tanti ragazzi ai provini, ho capito subito di aver trovato gli interpreti giusti: Adalgisa per la sua ironia e leggerezza nella prima parte, Massimiliano per la sua purezza, tutti vorremmo avere uno come lui “sul comodino”. Li ho chiamati dopo pochi giorni per proporre loro il ruolo.”

L’atmosfera non è solo quella di provincia, ma addirittura quasi da Far West americano. Ci sono delle opere da cui ha tratto ispirazione?

“Non solo da altre opere. Ero sciatore da giovane, ho il ricordo di questo freddo intenso di quando scendeva la sera: la neve porta una calma estrema, addolcisce tutto con il sole, ma quando cala c’è un clima particolarissimo. A Cave del Predil, che è tra le location del film, sono molto legato, per cui ho sempre voluto creare qualcosa in quel posto. In ‘Ultimo schiaffo’ l’ambiente è un antagonista dei personaggi, al punto che ogni azione va pensata in un posto ostile. Tra le mie fonti di ispirazione ci sono ‘Fargo’ dei fratelli Coen, che è un film di riferimento per me da sempre, i film di Aki Kaurismäki e tante serie sulla neve, che abbiamo aspettato a lungo e finalmente alla fine è arrivata, a dimostrazione che il cambiamento c’è eccome (ride)”.

Rispetto a “Zoran” la componente comica si stempera, lasciando più spazio a un dramma che non viene addolcito come nella classica commedia amara italiana. Ci spiega questa evoluzione?

“Ci ho pensato tanto. Con gli sceneggiatori abbiamo scelto di seguire i personaggi che avevamo costruito. Senza dubbio il momento storico è tremendo: siamo a un punto quasi di non ritorno, governato da persone arroganti che minacciano di scendere in guerra, sapendo che a combattere non ci andranno loro. Ho deciso di raccontare una storia più personale, e questo momento nero è emerso, ho deciso di tenerlo non solo dentro di me. Pur provando a raccontarlo con leggerezza, questo grigio emerge. Con ‘Zoran’ erano tempi diversi, si pensava che il mondo avrebbe preso una direzione differente.”

C’è qualche similitudine con “Le città di pianura”? Un altro film di provincia che ha avuto buon riscontro al botteghino e da parte della critica.

“L’ho visto, ha risuonato molto le mie corde, è un film che capisco e vivo perfettamente, essendo parte della mia vita e intorno a me. La provincia è un po’ di anni che viene raccontata, le persone hanno voglia di scoprire questo paese e non solo le zone centrali. La provincia è in grado di raccontare anche storie universali, per tutti, per cui i produttori e registi hanno finalmente capito che spostandole nei vari luoghi si possono portare anche tante novità.”