di
Gian Guido Vecchi

Il pontefice ha ricevuto lunedì mattina cardinali e monsignori che guidano gli uffici vaticani, il discorso tradizionale alla Curia prima di Natale: le differenze con il «modus operandi» di papa Francesco

CITTÀ DEL VATICANO La Curia romana ha una responsabilità, la stessa della quale erano consapevoli i cardinali all’ultimo conclave: evitare le divisioni e testimoniare la comunione «in un mondo ferito da discordie, violenze, conflitti, in cui assistiamo anche a una crescita di aggressività e di rabbia, non di rado strumentalizzate dal mondo digitale come dalla politica». Leone XIV ha ricevuto lunedì mattina cardinali e monsignori che guidano gli uffici vaticani, il discorso tradizionale alla Curia prima di Natale. Con una differenza essenziale, rispetto al predecessore: Francesco diffidava della Curia, l’udienza per gli auguri veniva attesa con una certa apprensione perché spesso era scandita da moniti e rimproveri. Prevost ha uno stile differente e tende a volgere in positivo le questioni, anche quando restano le stesse. Così, nel parlare della Chiesa che dev’essere «estroversa, rivolta verso il mondo, missionaria» e insieme custodire la «comunione» dento e fuori di sé, il Papa cita Sant’Agostino, suo autore di riferimento: «In tutte le cose umane nulla è caro all’uomo senza un amico»

Potere e interessi

Lo stesso autore delle Confessioni, tuttavia, «con una punta di amarezza» si chiedeva: «Ma quanti se ne trovano di così fedeli, da poterci fidare con sicurezza riguardo all’animo e alla condotta in questa vita?». Ecco, considera il Papa: «Questa amarezza a volte si fa strada anche tra di noi quando, magari dopo tanti anni spesi al servizio della Curia, notiamo con delusione che alcune dinamiche legate all’esercizio del potere, alla smania del primeggiare, alla cura dei propri interessi, stentano a cambiare. E ci si chiede: è possibile essere amici nella Curia Romana? Avere rapporti di amichevole fraternità?». Tutto questo so costruisce, «più che con le parole e i documenti, mediante gesti e atteggiamenti concreti che devono manifestarsi nel nostro quotidiano, anche nell’ambito lavorativo», fa notare Leone XIV: «Nella fatica quotidiana, è bello quando troviamo amici di cui poterci fidare, quando cadono maschere e sotterfugi, quando le persone non vengono usate e scavalcate, quando ci si aiuta a vicenda, quando si riconosce a ciascuno il proprio valore e la propria competenza, evitando di generare insoddisfazioni e rancori. C’è una conversione personale che dobbiamo desiderare e perseguire, perché nelle nostre relazioni possa trasparire l’amore di Cristo che ci rende fratelli».



















































Le relazioni

Bisogna insomma evitare «due estremi opposti», avverte il pontefice: «Uniformare tutto senza valorizzare le differenze o, al contrario, esasperare le diversità e i punti di vista piuttosto che cercare la comunione. Così, nelle relazioni interpersonali, nelle dinamiche interne agli uffici e ai ruoli, o trattando le tematiche che riguardano la fede, la liturgia, la morale o altro ancora, si rischia di cadere vittime della rigidità o dell’ideologia, con le contrapposizioni che ne conseguono».

Il dono della pace

Tutto questo è importante anche per la missione della Chiesa, come segnale al mondo: «Il Natale del Signore reca con sé il dono della pace e ci invita a diventarne segno profetico in un contesto umano e culturale troppo frammentato. Il lavoro della Curia e quello della Chiesa in generale va pensato anche in questo orizzonte ampio: non siamo piccoli giardinieri intenti a curare il proprio orto, ma siamo discepoli e testimoni del Regno di Dio, chiamati ad essere in Cristo lievito di fraternità universale, tra popoli diversi, religioni diverse, tra le donne e gli uomini di ogni lingua e cultura».
La «testimonianza di una vita cristiana», in fin dei conti, «è il primo e più grande servizio che possiamo offrire». Nel discorso di Papa Prevost, a proposito del senso del Natale, è notevole la citazione finale di Dietrich Bonhoeffer, il teologo protestante tedesco che scrisse «Resistenza e resa» e fu impiccato dai nazisti nel campo di concentramento di Flossenbürg: «Dio non si vergogna della bassezza dell’uomo, vi entra dentro. Dio ama ciò che è perduto, ciò che non è considerato, l’insignificante, ciò che è emarginato, debole e affranto».


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22 dicembre 2025