di
Elisabetta Soglio

Lo scrittore guida il Comitato per le iniziative degli 800 anni dalla morte del Santo. «La società ha il mito della grandezza: bisogna invece amare senza possedere»

«I l Natale per San Francesco è un grande belato».
In che senso?
«In quello letterale. Le fonti, a partire da Tommaso da Celano, ci tramandano questo episodio: mentre stava realizzando il presepe vivente a Greccio, Francesco è talmente commosso davanti al Dio che si fa bambino o, per dirla con Ungaretti, “che rida come un bimbo”, talmente commosso che non riesce a dire la parola Betlemme e si incaglia sul be, comincia a belare insomma. E qui c’è tutto il suo cuore semplice e autentico. Per cui, il suo messaggio per il nostro Natale sarebbe proprio questo: o ti commuovi davanti al Dio bambino, o è una festa cui puoi anche attaccare lucine, regali e pranzi, ma resta una occasione vacua». Davide Rondoni, poeta e scrittore, presiede il Comitato per le celebrazioni degli 800 anni dalla morte del Santo di Assisi. Gira l’Italia per «fare da suscitatore di un movimento molto fertile che si è attivato, segno della potenza di questa testimonianza». 

Perché San Francesco è così appassionato al Natale?
«Perché lui sa che quello è il momento in cui l’altissimo onnipotente si mostra anche buono, come dice nel Cantico. Che Dio sia “Altissimo” e “Onnipotente”, ovvero che la vita non sta nelle nostre mani, ci arriviamo tutti. Ma il terzo aggettivo, “buono” è quello che diventa il senso del messaggio di Francesco. Buono tanto da diventare un bimbo, uno di noi che nasce, muore e risorge: e questo avvenimento può solo commuoverti e lasciarti senza parole». 



















































Questa “commozione” esiste ancora?
«Non voglio addentrarmi in una analisi sociologica. Io però sono convinto che per tantissimi il Natale sia ancora quella piccola grande commozione di Francesco. Quanto al consumismo, guardi io non vedo nulla di male nel desiderio di scambiarsi un regalo per dire a una persona che le vuoi bene. Ma sto a Francesco, che non era un moralista, non si lamentava dei tempi che viveva e non credo lo farebbe neppure oggi con noi ». 

Oggi esiste anche una dimensione di umanità ferita da guerre, povertà, solitudini, diritti negati. A loro Francesco cosa direbbe?
«Da quel belato anche storicamente sono nate tantissime iniziative, opere di santi, di donne e uomini che hanno migliorato la vita delle persone. Francesco non dice: ma da lui nascono le banche, le opere di carità, l’abbraccio al lebbroso. Un’esplosione di vita». 

Un’esplosione di vita?
«Nel senso che la sua opera dà vita ad azioni che combattono la morte, l’ingiustizia e la miseria. Chi è animato dalle ideali di Francesco, penso al cardinale Pizzaballa, alle mense francescane e a molto altro, genera opere per migliorare e rendere più degna la vita delle persone». 

Lei ha di recente scritto il libro «La ferita, la letizia». E proprio letizia era un termine molto caro a Francesco, che la predicava: perché?
«Letizia viene dal letame: la terra è lieta quando viene concimata. La letizia non è il sorrisetto babbeo, ma la terra, cioè la vita stessa, che può diventare fertile anche nelle situazioni più dure e avverse». 

E qual è il concime?
«Per lui è Gesù. Letizia è una parola scandalosa nella sua dolcezza: noi invece siamo figli di ideologie che hanno sempre cercato la felicità e poi viene l’ansia perché la felicità non arriva. Letizia non è una bolla di gioia indifferente nel mondo, ma una esistenza fertile anche quando sei costretto in situazioni che non ti piacciono e il mondo ti propone cose difficili». 

San Francesco può essere ancora oggi un modello?
«Francesco non si è mai posto come un modello. Lui alla fine dice ai suoi: ho fatto la mia parte, adesso tocca a voi. E questo è il messaggio ancora attuale. Francesco continua a interrogare tutti e non a caso la nostra proposta di reintrodurre la festività del 4 ottobre ha avuto accoglienza bipartisan: perché l’unità deriva da una testimonianza che ancora parla. Francesco e i suoi fratelli, quelli che oggi i nostri ragazzi chiamerebbero “bro” ci hanno insegnato ad amare senza possedere». 

Lo scoglio?
«Lui si firmava piccolino e parvulus. In una società che fa della grandezza, della perfezione e della impeccabilità la legge, l’uomo va in crisi. Invece Francesco dice “Io non sono mio”. Che è lo slogan contrario del possedere». 

Cosa succederà il prossimo anno?
«Ricordo solo alcuni dei tantissimi appuntamenti: le dieci statue, un bellissimo progetto di arte pubblica; un campo da calcio per i bimbi poveri in Egitto; un’attività di avviamento al lavoro in Kenya; la pubblicazione di nuove fonti e, in generale, iniziative in 50 Paesi. Abbiamo lanciato la grande mostra su Giotto e San Francesco, in agosto avremo un raduno mondiale di giovani e a marzo il corpo del santo verrà esposto». 

Una parola che ci regala?
«La parola rivoluzionaria di Francesco è “creatura”. La vita di oggi non essendo più creaturale è piena di ansie perché devi sempre dimostrare che vali qualcosa: se non sei “creatura” sei uno schizzo di vita che annaspa in cerca di approvazione. E aggiungo “perdono”, la qualità che dimostra la libertà assoluta dell’uomo. Senza perdono non si vive». 

Come sarà il suo Natale?
«Sarò con i miei e starò a pregare, a leggere, scrivere e a coltivare l’emozione del belato».

22 dicembre 2025