Il responsabile degli spari contro i ciclisti che si stavano allenando in Val d’Adige è stato trovato. Quello che è accaduto sulle strade della provincia di Verona non è una “ragazzata”, non è una bravata, non è nemmeno un episodio isolato. È un fatto gravissimo che va chiamato con il suo nome: violenza deliberata contro persone che stavano semplicemente pedalando.
I Carabinieri hanno individuato il responsabile degli spari contro gli atleti del team SC Padovani Polo Cherry Bank: un 25enne veronese, incensurato, che durante un sorpasso ha estratto una pistola a salve – privata del tappo rosso – esplodendo due colpi in direzione del gruppo guidato da Alessandro Petacchi. Un gesto motivato, secondo quanto ricostruito, da un banale “fastidio” e da una dichiarata insofferenza verso i ciclisti, come riporta il Corriere del Veneto*.
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Un odio tanto irrazionale quanto pericoloso, che ha creato una situazione di estremo rischio per chi si trovava sulla strada.
Che l’arma fosse “solo” a salve conta fino a un certo punto. Puntare e sparare verso delle persone è un atto intimidatorio, violento, che può causare panico, cadute, incidenti potenzialmente mortali. E il fatto che la pistola fosse nascosta sotto il pianale del bagagliaio e privata dei dispositivi di sicurezza dimostra che non si è trattato di un impulso momentaneo, ma di qualcosa di pensato e preparato [ulteriori particolari in cronaca su VeronaOggi qui].
Ma questo episodio – come ci capita di scrivere purtroppo spesso su Bikeitalia – è soprattutto la punta di un iceberg molto più grande. Da anni assistiamo a un crescendo di odio contro i ciclisti che nasce e si alimenta sul web: commenti che invocano investimenti, “lezioni”, punizioni sommarie per chi pedala. Un linguaggio violento che normalizza l’idea che il ciclista sia un intralcio, un nemico, qualcuno che “se la cerca”. E quando questo rancore esce dai social e arriva sull’asfalto, il passo è breve.
A inquietare è anche il profilo del responsabile: una persona giovane, senza precedenti, apparentemente “normale”. Proprio questo dovrebbe farci riflettere. Non siamo di fronte a un mostro isolato, ma a un clima culturale che legittima l’aggressività verso chi usa la bicicletta. Un clima in cui sentirsi infastiditi diventa una giustificazione per mettere in pericolo la vita altrui.
Condannare con fermezza questo gesto non è solo doveroso: è necessario. Perché ogni colpo sparato, ogni sorpasso intimidatorio, ogni minaccia urlata dal finestrino non nasce dal nulla. È il frutto di un odio coltivato giorno dopo giorno, spesso tra persone insospettabili, che vedono nel ciclista non un essere umano, ma un bersaglio. E finché non lo diremo chiaramente, continueremo a contare episodi come questo, sperando ogni volta che non finisca in tragedia.
*[Fonte]
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