Per architetti, designer, urbanisti, e in generale per chi lavora con lo spazio, i world model rappresentano un cambiamento sostanziale. Permettono di osservare ambienti che ancora non esistono e di studiarli come sistemi dinamici. Si può vedere come si distribuisce una folla in un atrio durante un picco di afflusso, come un cortile accumula o disperde calore in estate, come varia la mobilità quando si modifica un asse stradale, come cambia il microclima di un quartiere con l’inserimento di un parco lineare. Anche gli interni diventano ambienti da analizzare nel loro comportamento, seguendo l’evoluzione d’uso nel tempo.
D’altronde la progettazione si è sempre basata sulla capacità di anticipare gli effetti di una decisione, ma anche la previsione più esperta può incontrare limiti strutturali. È il motivo per cui l’urbanistica resta una disciplina particolarmente vulnerabile agli effetti collaterali non previsti. La storia lo dimostra con chiarezza: dal crollo di Pruitt-Igoe a St. Louis — dovuto non a un difetto formale, ma all’incapacità di prevedere i comportamenti reali degli abitanti all’interno di uno schema troppo rigido — ai quartieri modernisti costruiti con percorsi pedonali separati, che sulla carta promettevano ordine e sicurezza e nella pratica hanno prodotto spazi deserti e poco accessibili. E ancora le piazze europee progettate come grandi superfici continue, che con l’aumento delle temperature si sono trasformate in isole di calore perché nessuno aveva immaginato come materiali, ombreggiature e microclima avrebbero reagito insieme.
Ovviamente non basta un world model a eliminare il rischio di errore; può però, in alcuni casi, anticiparlo prima che si manifesti, permettendo di osservare il comportamento di un ambiente simulato e valutare come un intervento ne modificherebbe equilibri, usi e reazioni. Non riduce il ruolo del progettista, anzi rafforza la collaborazione tra esperienza umana e capacità predittiva dei modelli. In questo senso, la trasformazione più significativa riguarda l’ingresso della dimensione temporale nel progetto: non più un effetto successivo, ma un parametro che contribuisce a plasmarlo fin dall’inizio.