di
Antonio Polito

Gaza è stata trasformata in deserto, le classi medie temono la povertà. Era dal 2001 con le Torri Gemelle che per l’Occidente non c’era stato un anno più «horribilis» di questo

«Keep calm and carry cash». Ognuno ha la sua personalissima «scala Mercalli della paura», reagisce a modo suo al pericolo, reale o percepito che sia. Ebbene, in questo 2025 da paura, lo spavento più grosso io me lo sono preso il 26 settembre, giorno in cui la Banca centrale europea, proprio mentre preparava l’euro digitale, ha invitato tutti noi a tenere in casa un po’ di contante in caso di disastro. Pare che oggi la reazione primaria dell’homo sapiens sapiens di fronte a una minaccia, insieme a un aumento della sudorazione e della frequenza cardiaca, sia quella di procurarsi delle banconote. Almeno questo è successo nell’aprile in Spagna, quando 50 milioni di persone sono rimaste per 22 ore senza energia elettrica, senza bancomat, senza Amazon, a causa di un gigantesco blackout. Quel giorno ci siamo detti in tanti: ma non è che i banchieri centrali di Francoforte sanno qualcosa che noi non sappiamo? Che sta per arrivare un’altra invasione, una grande alluvione, un terremoto, qualcosa che ci costringa a scappare stringendo un pugno di banconote?

La seconda paura più grossa dell’anno me la sono presa la notte di Natale, quando la nuova e bisbetica presidenza imperiale della superpotenza americana ha ordinato «un attacco potente e letale» sulla Nigeria. Ma è stato uno spavento di origine più «letteraria»: chi ha letto l’ultimo romanzo distopico di McEwan, Quello che possiamo sapere, sa che nel mondo del 2119 in cui si svolge la trama la Nigeria è diventata il centro geopolitico e digitale del mondo, la nuova potenza imperiale, mentre la Gran Bretagna è ridotta a un arcipelago di isolette sopravvissute a uno tsunami, e la Germania è stata incorporata nella «Grande Russia». Chissà che diranno i posteri del 2025.



















































Le minacce di Mosca

La parola dell’anno è stata «paura». Paura del ritorno della guerra, innanzitutto. Come se l’orologio fosse tornato al Novecento, secolo breve ma terribile. In Germania, il Paese dove hanno inventato il sostantivo «Angst», l’esercito dice che ci si può aspettare un attacco russo all’Europa nel 2029. Dal 2026 scatterà di nuovo la leva: visita militare per tutti al compimento dei diciott’anni. La Francia reintrodurrà il servizio militare volontario dall’estate, mille euro di paga. Nelle scuole materne ed elementari di tutta la Russia si tengono «lezioni speciali» per insegnare marce e combattimenti corpo a corpo ai bambini dai quattro anni in su. La minaccia dell’arma nucleare è stata apertamente evocata dall’ex presidente Medvedev, e articolata nella nuova dottrina strategica del Cremlino. Davvero poco rassicurante, dunque, l’annuncio della porta-minacce russa Zacharova: Mosca è pronta a firmare un patto di non aggressione con la Nato. Nel Novecento i «patti di non aggressione» hanno quasi sempre preceduto di poco le aggressioni. Quello che Stalin firmò con Hitler nel 1939 portò entrambi i dittatori a invadere la Polonia: Mosca si annesse i tre Paesi baltici e attaccò la Finlandia.

Non che Trump sia da meno, in quanto a pose marziali. Mentre invocava il Nobel per la Pace ha cambiato nome al Dipartimento della Difesa, ora si chiama «della Guerra». Idolatra i «bellissimi B-2» che hanno colpito l’Iran volando non stop su metà del globo terraqueo. Nel tempo libero ordina il blocco navale in Venezuela e fa affondare le navi dei narcos. Il suo istinto funziona come l’amigdala, la «mandola» del nostro cervello addestrata dall’evoluzione a reagire al pericolo in due soli modi: attacca o fuggi. Forse per questo non capisce gli ucraini: non hanno attaccato, ma non fuggono. Ironia della storia, per i nuovi «signori della guerra» è la placida e perfino flaccida Europa a essere «bellicista».

Abbiamo paura per i nostri figli anche perché abbiamo visto che cosa fanno le guerre ai bambini. Il disprezzo per la vita umana ha trasformato Gaza in un deserto, cui hanno appiccicato un cartellino con su scritto «pace». I bambini palestinesi hanno pagato il prezzo più inaccettabile della furia militare con cui Israele ha «vendicato» il pogrom del 7 ottobre. I figli sono sempre i primi a pagare. Ventimila minori sono stati rapiti dai russi in Ucraina. Nelle scuole e nelle università d’America centinaia di ragazzi sono stati uccisi o feriti nei «mass shooting» del 2025. In Italia ce la caviamo ancora con la violenza delle baby gang, e già ci sembra un inferno.

Il fantasma delle classi medie

Ma anche senza armi, o prima delle armi, la grande paura dell’anno è stato il «declassament», come lo chiamano i francesi: il timore di perdere benessere, potere d’acquisto, status sociale. Il fantasma delle classi medie di tutto l’Occidente: la retrocessione, la proletarizzazione. Sarà perché si avvicina il centenario del ’29, la Grande Crisi che, insieme al protezionismo, aprì le porte al secondo conflitto mondiale. Abbiamo cominciato l’anno con minacce di dazi stratosferici dagli Stati Uniti, poi per fortuna ridotti a più miti consigli. Il nostro export ha retto, l’economia mondiale ha retto. 

Però, perfino dove le cose vanno bene come in America, e il Pil aumenta al ritmo del 4,3%, sembrano comunque andar male per il cittadino medio: la crescita salariale delle famiglie a basso reddito è scesa dell’1%. Il Wall Street Journal l’ha definito un «boom da Ozempic», dal nome del farmaco anti diabete che fa dimagrire artificialmente. Ce n’è traccia evidente nei sondaggi che disapprovano Trump, contrappasso di ciò che lui rimproverava a Biden. In Italia è appesa a un filo la sopravvivenza di pezzi di storia come l’Ilva o l’ex Fiat. In Germania, che non cresce più dai tempi del Covid, si parla della «più grande crisi industriale dal ’49». A Parigi l’establishment teme anche le prossime elezioni: Bardella o Mélenchon all’Eliseo?

Da molto tempo, forse dal 2001 delle Twin Towers, per noi genti dell’Occidente non c’era stato anno più «horribilis» di questo. Per fortuna sta finendo. Ma non basterà il calendario a cambiarci la vita. Abbiamo bisogno di qualcuno degno di fede che ci dica, come Giovanni Paolo II: «Non abbiate paura». In fin dei conti, non esistono i «tempi cattivi»: «Gli uomini vivano bene, e i tempi saranno buoni. Noi siamo i tempi». Parola di Sant’Agostino.

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27 dicembre 2025 ( modifica il 27 dicembre 2025 | 08:44)