Film consigliati: “Primavera”, l’opera in rosso di Damiano Michieletto, è un esordio eccellente- immagine 2

Tecla Insolia (prima a sinistra) e Michele Riondino sono i protagonisti di Primavera di Damiano Michieletto

NON POTEVA CHE arrivare al cinema a Natale un film come Primavera, così ricco di magia e di emozione. Un film che, dopo le anteprime al Toronto Film Festival e al Red Sea Film Festival, ci porta nella Venezia dei primi del 1700.

Primavera, l’opera (prima) in rosso di Damiano Michieletto

Celebrazione della musica e della libertà, è liberamente ispirato al romanzo Stabat Mater di Tiziano Scarpa (Premio Strega 2009). Soprattutto, è l’esordio nel lungometraggio di Damiano Michieletto, tra i registi di opera lirica e di prosa più rivoluzionari e premiati, in Italia e nel mondo. Protagonisti sono Michele Riondino nel ruolo di Antonio Vivaldi, e la sempre più sorprendente Tecla Insolia. Con loro, Andrea Pennacchi, Fabrizia Sacchi, Valentina Bellé e Stefano Accorsi. 

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Stefano Accorsi e Tecla Insolia: l’attrice, 21 anni, ha vinto due David di Donatello 2025

Trama e cast di Primavera

Nel 1716 l’orfanotrofio dell’Ospedale della Pietà di Venezia vive un momento di difficoltà, per la concorrenza dei Derelitti, verso il quale si stanno orientando le donazioni e il gradimento dei veneziani più nobili e facoltosi. Obbligatorio per il Governatore (Andrea Pennacchi) correre ai ripari e ingaggiare un nuovo maestro che rilanci l’istituzione. E faccia crescere le giovani che il luogo ospita, in attesa di trovare marito o che i genitori che le hanno abbandonate vengano a reclamarle. L’arrivo di Antonio Vivaldi (Michele Riondino) segna la svolta. In disarmo ma dal talento indiscutibile, il musicista inizia a comporre opere meravigliose e a riconquistare i favori dei potenti della città.

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Tecla Insolia è anche cantante e musicista. Tra i suoi film: L’arte della gioia, Familia, L’albero e Amata.

Anche grazie alla bravura della giovane e inquieta Cecilia (Tecla Insolia), orfana e dotatissima violinista che grazie alla musica inizia a guardare alla vita e al mondo in maniera diversa. Mettendo in difficoltà quanti avevano già deciso del suo futuro.

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C’è l’assenza algida di Venezia e la rigidità disumana dell’istituzione di matrice cattolica. L’incipit di questo Primavera, ci porta in un’atmosfera ben lontana da qualsiasi immagine potrebbe ispirare il titolo. Che rimanda (come alcuni gustosi accenni sonori sparsi nel film) al celebre concerto delle Quattro Stagioni di Vivaldi. Ma soprattutto si ispira al libro vincitore del Premio Strega e come quello regala una elegante, intensa, anche drammatica, storia di formazione. E di libertà. Gli spazi angusti dell’Ospedale della Pietà sono l’ambiente ideale per tenere a battesimo una passione, un desiderio, che come sempre della privazione della libertà si nutre. Ed è la cornice ideale per un esordio alla regia interessante – e forse obbligato – per Michieletto, che di altro tipo di messe in scena e trasposizioni e musica ha grande pratica. La musica è premessa e linguaggio, spina dorsale e cartina di tornasole, scintilla, innesco. Il desiderio e l’arte, la bellezza, la libertà sono elementi fondamentali del film, che il regista organizza (quasi sempre) con grande misura, mostrando di saper armonizzare uno stile amante della sottrazione con una notevole cura registica e formale, oltre che estetica.

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Certo le scenografie naturali della Laguna fanno molto, ma (insieme a costumi, scenografie e fotografia) un plauso va ad alcune scelte fortunate. Come quella di elevare dall’umano le ragazze nascoste dietro maschere o separè trasformandole in meravigliose Ombre Rosse. Una delle tante, di questo debutto convincente, attraversato da intuizioni profonde, allusivo e rigoroso insieme. A suo modo così seducente, che già fa venir voglia di vedere il prossimo film, più “ruvido”, stando a quanto promesso.

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Damiano Michieletto (50 anni) sul set, tra Tecla Insolia e Michele Riondino

6 domande a Damiano Michieletto, regista di Primavera

Dalla Scala di Milano alla Royal Opera House di Londra, dalla Fenice di Venezia all’Opera di Parigi: adesso, la regia cinematografica… Com’è andata?

Io sono una persona che va molto a intuito. Questo progetto nasce sostanzialmente dal mio desiderio di fare un film. Sono sempre stato uno spettatore di cinema, e anche a teatro a volte ho usato un po’ anche il linguaggio cienmatografico. Adesso volevo uscire da una comfort zone mia personale, mettermi alla prova e sentirmi spaesato. Anche per imparare qualche cosa di nuovo.

La storia scelta viene da un libro vincitore del Premio Strega: cosa l’ha colpita della protagonista?

Raccontiamo la condizione femminile in un mondo dove la libertà è molto limitata. Ma l’arte non redime. Può emozionare, ma secondo me non ha una morale e non costituisce una salvezza. Il riferimento del titolo alla Primavera di Vivaldi nel film coincide con una stagione della vita. Quella della giovinezza di Cecilia, nella quale lei sente il bisogno di far sbocciare il fiore che ha dentro. C’è un atto di ribellione, dopo la follia con cui è iniziato il rapporto con Vivaldi. È il sogno, l’aspettativa, la rabbia e il desiderio di dare un senso alla propria vita.

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La strada la scelgono loro, gli attori

Ai cantanti lirici si chiede soprattutto di saper cantare: ai suoi attori cosa ha chiesto?

Ho cercato di dare indicazioni precise, ma non soffocanti. Mi interessa che abbiano chiaro dove devono arrivare: la strada la scelgono loro, è il loro  lavoro. Il modo in cui hanno studiato il personaggio e che riflette il loro modo di stare al mondo, la loro fisicità, il loro corpo. Io cerco di essere in ascolto, ma al tempo stesso anche di mettere delle sponde. Metto le rive, loro sono l’acqua che scorre.

Una prima esperienza che le ha fatto venire voglia di continuare, di fare altri film?

Non vedo l’ora di iniziare il prossimo. Voglio fare qualcosa di diverso, forse più ruvido, comunque che non sia prevedibile. Questo primo film nasceva dalla voglia di raccontare una storia in cui ci fossero degli elementi che conoscevo, in una cornice geografica che mi appartiene e mi è familiare. E raccontarla con la musica, sfruttando tutta la possibilità narrative ed emotive della musica.

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Da Gianni Schicchi a Primavera, dal film opera al film film

Nel 2021, però, aveva già diretto Gianni Schicchi presentato al Festival di Torino e tratto dall’omonima opera di Puccini…

Quello non lo considero un film al 100%, perché è un’opera lirica che ho tradotto in immagini. Diciamo che è un’opera girata con la tecnica di un film, ma non c’è stato un lavoro di sceneggiatura. Allora la sfida fu di dare ai cantanti una credibilità cinematografica. Ma per me questo è il mio primo film, nel senso che è un film che nasce da una idea, da una collaborazione con la sceneggiatrice Ludovica Rampoldi. E da una produzione con la quale abbiamo sviluppato insieme un concetto e un cast di attori, non di cantanti. In futuro non lo so: sicuramente la musica è importante, però non deve diventare un’etichetta, uno stile. Anche a teatro cerco sempre di seguire l’intuito senza ripetermi. Quindi, vedremo dove mi porterà l’intuito.

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Michele Riondino è Antoniuo Vivaldi (1678 – 1741)

Oltre all’intuito, in genere cosa la guida? 

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Le uniche due cose che devi seguire quando fai un’opera sono la musica e le parole, ma non le didascalie. Non a caso, la prima cosa che faccio, sempre, è cancellarle tutte. È un po’ come quando cammini per Venezia e trovi i cartelli gialli con le indicazioni per Rialto o Piazza San Marco. Tutti si buttano in quelle quattro calli, che poi sono piene di turisti che sgomitano e se fanno delle foto sono sempre le stesse. Invece se tu non segui quelle strade lì, ti puoi perdere, ci puoi mettere molto più tempo, ma in qualche modo arriverai. E avrai fatto delle fotografie che non ha fatto nessun altro, perché i posti che hai visto sono quelli che hai visto solo tu. Secondo me bisogna fare così, anche in un film. Ed essere disposti anche a perdersi, anche a dire “sto sbagliando”. Una qualità che mi riconosco è di non essere permaloso, di non aver problemi a dire “ho fatto una sciocchezza” o a fare un complimento se uno mi dà un’idea migliore della mia.