C’è un’immagine che accompagna questo dicembre di Carsen Edwards ed è quella di un giocatore costantemente in bilico tra luce e ombra, tra l’istinto del realizzatore puro e il peso – inevitabile – di essere il riferimento offensivo della Virtus Bologna. Un mese fatto di picchi e di cadute, di serate in cui ha trascinato la squadra e di altre in cui è sembrato ingabbiato dentro le maglie sempre più strette delle difese avversarie. E, come spesso accade quando il talento è così evidente, il dibattito si è acceso soprattutto fuori dal campo.
Sui social il giudizio è diventato netto, a tratti sommario: Edwards “è solista”, “tiene troppo la palla”, “congela l’attacco”, “rende prevedibile la Virtus”. Critiche che emergono soprattutto dopo le partite più difficili, come quella contro l’Olympiacos, dove il numero 3 bianconero ha chiuso con 14 punti, tutti nel primo tempo, tirando 3/11 da due e 2/5 da tre, con 2 palle perse. Una gara complicata, segnata soprattutto da una scavigliata subita nei primi minuti (distorsione alla caviglia destra con interessamento legamentoso che verrà rivalutata nei prossimi giorni) su un tiro dalla distanza, episodio che ne ha inevitabilmente condizionato efficacia e continuità. Il giocatore ha provato a stringere i denti durante le fasi successive di gioco, ma il suo secondo tempo è stato emblematico per spiegare il problema fisico.
Va però riconosciuto come una parte significativa delle difficoltà di Edwards contro l’Olympiacos sia stata figlia anche della scelta tattica di coach Bartzokas, che ha preparato su di lui una vera e propria gabbia difensiva (e lo aveva pre annunciato in sede di presentazione gara). A guidarla, spesso e volentieri, è stato Evan Fournier, incaricato di togliergli ritmo, spazio e primi passi, con continui aiuti pronti a chiudere le linee di penetrazione. Un lavoro fisico e metodico, che ha tolto ossigeno all’ex Bayern Monaco e reso ogni sua iniziativa estremamente dispendiosa, confermando quanto le difese più organizzate d’Europa individuino in lui il principale pericolo offensivo della Virtus.
Eppure, ridurre il discorso a una semplice accusa di individualismo rischia di essere una lettura parziale. Perché Carsen Edwards è esattamente questo tipo di giocatore, da sempre. Un creatore di vantaggi, un realizzatore capace di accendersi in pochi possessi, un esterno che vive di ritmo e di fiducia. La Virtus lo ha scelto in estate proprio per questo profilo: un giocatore capace di prendersi responsabilità, di rompere gli equilibri, di prendersi tiri che altri non osano nemmeno immaginare. Una tipologia che negli ultimi anni a Bologna era spesso mancata e che in tanti, paradossalmente, reclamavano.
Il punto è che un giocatore così vive inevitabilmente di oscillazioni. Gli alti e bassi sono da mettere in conto. La stagione è lunga, logorante e pensare che possa essere dominante ogni sera è semplicemente irrealistico. Anche perché il contesto conta: dopo le difficoltà contro Hapoel Tel Aviv e Olimpia Milano, Edwards aveva risposto sul campo con una striscia positiva di tre partite importanti, tra le due trasferte di Belgrado (Partizan e Stella Rossa) e la gara di campionato contro Brescia. Segnali di continuità che raccontano un giocatore dentro il progetto, non un corpo estraneo.
Resta poi il tema dell’atteggiamento, evocato anche da Dusko Ivanovic nel post partita, con parole dure ma volutamente non indirizzate a un singolo. Non sappiamo se il riferimento fosse a Edwards o a qualcun altro – o più semplicemente a una dinamica collettiva – ma è evidente che, da un leader tecnico, si chieda sempre qualcosa in più anche sul piano emotivo, soprattutto nei momenti di difficoltà.
I numeri, intanto, raccontano una verità chiara: 17.7 punti di media in EuroLeague, quinto miglior realizzatore della competizione e 14.3 in LBA, dove il minutaggio è inferiore e le gerarchie diverse. Dati che certificano l’impatto di un giocatore che resta centrale nel sistema Virtus, anche quando il rendimento non è lineare.
Carsen Edwards non è – e probabilmente non sarà mai – un giocatore “comodo”. È un acceleratore, non un metronomo. Prendere o lasciare. La sfida, per lui e per la Virtus, è trovare il punto di equilibrio tra istinto e lettura, tra libertà e responsabilità. Perché quando l’equilibrio c’è, il suo talento diventa un’arma che poche difese in Europa riescono davvero a contenere.
Eugenio Petrillo
Nell’immagine Carsen Edwards, foto Ciamillo-Castoria