di
Paolo Condò

I nerazzurri piegano l’Atalanta al termine di una partita ad altissima intensità, quasi da Premier League. Gli azzurri hanno la serenità di chi sa di avere in area un realizzatore implacabile

Non era ancora successo che tutte le grandi vincessero assieme, circostanza che in genere premia chi ha l’impegno più difficile, e quindi l’Inter. La gara di Bergamo si è giocata a un ritmo infernale degno della Premier, e infatti a risolverla non è stata una prodezza, ma uno strafalcione di Djimsiti in debito di ossigeno che Lautaro non ha perdonato. Inter dominante ma spuntata nel primo tempo, match equilibrato nella ripresa, quando l’Atalanta pensava che il piano di lasciar sfogare la sua bestia nera per raccoglierne i resti al tramonto filasse a gonfie vele. Invece è stata l’Inter a superare i propri limiti, e il valore della rivale — vederla così distante è un’assurdità — fa sì che dopo Roma questo sia il secondo scontro diretto portato a casa. Acqua al mulino di Chivu.

L’Inter dunque ha vinto 1-0. Il dato saliente della giornata è che anche le gare delle altre grandi, pur registrando punteggi diversi, si sono sostanzialmente concluse al gol dell’1-0. Sabato la Juve ha faticato parecchio a Pisa, ma quando infine ha trovato il vantaggio, al 73’, le angustie sono finite, tanto che nel recupero Yildiz ha firmato sul velluto un 2-0 francamente punitivo per la valida serata dei Gilardino-boys. Ieri a pranzo il Milan era in totale patta col Verona quando un guizzo di Rabiot e Pulisic gli ha regalato il vantaggio a un soffio dall’intervallo, e quando la gara è ripresa pareva che il campo gli si fosse inclinato in discesa: due gol per registrare il risveglio di Nkunku, il resto è stata gestione con sigaretta in bocca e braccio fuori dal finestrino. 



















































Nel pomeriggio Hojlund ci ha messo molto meno, 13 minuti appena, per staccare il Napoli dalla Cremonese, e per quanto la squadra di Nicola non sia di quelle che mollano, non c’è più stato mezzo dubbio su come sarebbe andata a finire. Il Napoli ha riempito la partita di calcio bello ed efficace, con la serenità di chi sa che se riuscirà a far arrivare la palla in area, lì entrerà in azione un realizzatore implacabile: Rasmus Hojlund chiude la sua crescita verticale dicembrina con 5 gol, e a metà stagione c’è il solo Modric — le cui prospettive sono diverse — a contendergli il titolo di acquisto dell’anno.

Il fatto che l’1-0 abbia «concluso» queste partite non è casuale, perché il nostro è un campionato in cui la scienza dello sfruttamento degli spazi ha raggiunto livelli da intelligenza artificiale: appena un vantaggio squilibra la situazione tattica, chi deve recuperare si scopre, si espone, e ne becca altri. Il mini-campionato di 10 gare fra le prime cinque in classifica si è concluso con 9 vittorie e un pareggio (Juve-Milan), e tutte le vittorie sono andate alla squadra che ha segnato per prima. Sabato, per dire, Chelsea-Aston Villa è stata inaugurata da una rete di Joao Pedro, ma nella ripresa Emery ha inserito Watkins — in panchina fin lì — e quello gli ha segnato la doppietta del sorpasso. Da noi non succede anche per la carenza di specialisti nell’uno contro uno, necessari contro una difesa schierata. La Juve ha fatto saltare il Pisa quando ha inserito Zhegrova, che con una palletta messa con perizia oltre il muro dei difensori ha innescato la combinazione del gol di Kalulu. Conta la profondità della panchina, certo. Ma anche chi ci sta seduto.

29 dicembre 2025