di
Massimiliano Jattoni Dall’Asén
Con il 2026 la Bulgaria diventa il 21esimo Paese ad adottare l’euro. I parametri economici sono rispettati, ma tra proteste, timori sui prezzi e instabilità politica il passaggio divide il Paese
Il 1° gennaio 2026 non sarà soltanto una data da calendario. Per la Bulgaria segnerà la fine di una lunga transizione e l’inizio di una responsabilità piena: l’ingresso nell’eurozona come ventuneesimo Paese della moneta unica. Un passaggio preparato con meticolosità tecnica, ma attraversato da un’inquietudine politica e sociale che racconta molto più di un semplice cambio di valuta.
Un traguardo formale, una prova pratica
Come sappiamo, la decisione è diventata ufficiale nell’estate del 2025. Il 4 giugno scorso, Commissione europea e Banca centrale europea hanno infatti certificato che Sofia soddisfa i criteri di convergenza: inflazione sotto controllo, finanze pubbliche solide, tassi di interesse allineati, stabilità del cambio. Poche settimane dopo, l’8 luglio, il Consiglio Ecofin ha completato gli atti finali fissando irrevocabilmente il tasso di conversione: 1 euro = 1,95583 lev, lo stesso valore che da anni ancora la moneta nazionale all’euro.
Dal punto di vista europeo, la Bulgaria non «entra» ora in un sistema nuovo, perché ci vive già dentro da tempo. Dal 1997, infatti, il lev è ancorato prima al marco tedesco e poi all’euro; dal 2020 Sofia partecipa all’Erm II, il meccanismo che testa la stabilità dei cambi. L’euro, in altre parole, è stato a lungo una presenza indiretta ma dominante. Dal 2026, semplicemente, diventerà esplicito.
I numeri tornano, la politica molto meno
Il Rapporto di convergenza della Bce è netto: nell’aprile 2025 l’inflazione media bulgara era al 2,7%, appena sotto la soglia del 2,8% (il limite massimo Ue per entrare nell’euro). Il debito pubblico resta intorno al 24% del Pil, tra i più bassi dell’Unione e Sofia non è soggetta a procedure per deficit eccessivo dal 2012. Per Bruxelles, un profilo da manuale. A Francoforte, però, si è scelto di non minimizzare il tema più sensibile sul piano percettivo. La stessa presidente della Bce Christine Lagarde ha infatti avvertito che nei mesi successivi all’introduzione dell’euro potrà verificarsi un lieve aumento temporaneo dei prezzi legato agli arrotondamenti. Un effetto definito «modesto e transitorio» sul piano macroeconomico, ma che potenzialmente sarà rilevante sul fronte della fiducia dei consumatori.
Le dimissioni del governo Zhelyazkov
E, infatti, fuori dai documenti ufficiali, il clima è tutt’altro che lineare. I sondaggi mostrano da mesi una popolazione spaccata, con una maggioranza relativa contraria all’euro o perlomeno diffidente. Il lev, moneta di un Paese passato attraverso iperinflazione, default e transizioni traumatiche negli anni Novanta, è diventato nel tempo un simbolo di stabilità più che un semplice strumento di pagamento. Le campagne contro l’euro, diffuse anche attraverso segnali di disinformazione collegati a scenari esterni (ma su questo ci torneremo nel paragrafo qui sotto), hanno contribuito a inasprire le paure di aumento dei prezzi e la sfiducia nelle élite politiche. Questa diffidenza si innesta in un contesto di instabilità politica prolungata, segnata da elezioni frequenti, governi fragili e maggioranze di corto respiro. Negli ultimi giorni, poi, proprio a ridosso del changeover, la tensione ha travalicato il simbolico: il governo di Rosen Zhelyazkov si è dimesso, in un clima segnato da proteste di piazza nel mese di dicembre per i timori sull’entrata nella moneta unica e contro il bilancio 2026: il primo redatto in euro.
Lo «zampino» russo
E’ in questo contesto che si è inserita l’offensiva dei partiti nazionalisti, che hanno trasformato l’euro in un bersaglio identitario. Le proteste — ingigantite nella retorica, ma reali nella loro continuità — hanno accompagnato tutto il 2025. Il presidente Rumen Radev ha spinto apertamente per un referendum, poi bloccato dalla Corte costituzionale perché incompatibile con gli impegni assunti con l’adesione all’Unione europea. Secondo analisi riportate dal Guardian, a rafforzare questa narrazione contribuiscono anche campagne di disinformazione che guardano alla Russia, interessata a indebolire il consenso europeo in uno dei Paesi più fragili dell’Unione. Un rumore di fondo che non spiega tutto, ma che amplifica sfiducia e radicalizzazione del dibattito.
Cosa succederà, concretamente
Comunque sia, dal punto di vista pratico, il calendario è ormai definito nei dettagli. Dall’8 agosto 2025 negozi e servizi sono obbligati a esporre i prezzi sia in lev sia in euro, una doppia indicazione che resterà in vigore fino all’8 agosto 2026, per accompagnare i consumatori nel passaggio.
Il 1° gennaio 2026 partirà una breve fase di doppia circolazione: per alcune settimane lev ed euro potranno essere usati insieme, ma dal 1° febbraio l’euro diventerà l’unica valuta accettata nei pagamenti. Il lev potrà comunque essere cambiato senza limiti di tempo presso la banca centrale. Si tratta di un meccanismo ormai collaudato nei più recenti ingressi nell’eurozona, pensato per ridurre l’impatto pratico e psicologico del passaggio alla nuova moneta.
Secondo le indicazioni della Banca centrale europea, conti correnti, depositi e contratti denominati in lev saranno convertiti automaticamente in euro al tasso fissato, senza costi per i clienti. Il contante potrà essere cambiato gratuitamente e senza limiti di tempo presso la banca centrale, mentre banche e uffici postali offriranno il servizio per una finestra temporale definita. Anche sul fronte simbolico, l’ingresso nell’eurozona è già stato preparato nei dettagli: le monete bulgare in euro manterranno riferimenti all’identità nazionale — dal Cavaliere di Madara a Ivan Rilski — a conferma di un passaggio che non cancella i segni del passato, ma li ingloba in una cornice monetaria più ampia.
Una scelta irreversibile, non unanimemente condivisa
Dal punto di vista economico, i vantaggi sono noti: eliminazione del rischio di cambio, maggiore attrattività per gli investimenti, accesso pieno ai meccanismi decisionali dell’Eurosistema. Per un Paese profondamente integrato nelle catene produttive europee — è la linea sostenuta con insistenza da Bce e Commissione —, l’euro riduce più incertezze di quante ne crei.
Ma politica e consenso elettorale — lo sappiamo bene noi in Italia — non seguono purtroppo sempre la logica dei parametri e dei numeri. E così, il Paese che ha mantenuto per anni una delle politiche monetarie più rigide d’Europa è anche quello che oggi teme di più la perdita di controllo. Il 2026 dirà se queste paure si riveleranno transitorie o strutturali.
Intanto, a cambiare è anche la logistica materiale dell’eurozona: la produzione di monete per il 2026 è stata aumentata in vista dell’ingresso della Bulgaria, un dettaglio concreto che anticipa il nuovo spazio fisico che la moneta unica occuperà nelle tasche dei cittadini.
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29 dicembre 2025 ( modifica il 29 dicembre 2025 | 10:02)
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