La mostra

L’esposizione al Palazzo dei Musei di Modena riunisce 50 grandi opere dell’artista per un percorso affascinante




Giorgio de Chirico Due cavalli in riva al mare con ruderi a drappo rosso, 1971


Giorgio de Chirico Due cavalli in riva al mare con ruderi a drappo rosso, 1971




Giorgio de Chirico Due cavalli in riva al mare con ruderi a drappo rosso, 1971


Giorgio de Chirico Due cavalli in riva al mare con ruderi a drappo rosso, 1971

Un ritorno alla giovinezza. Dono dell’ormai ottantenne Giorgio de Chirico. Capace di viaggiare a ritroso dentro le sue intimità. Un genio metafisico, che consegna la sua ultima stagione creativa inondandola di intima potenza, di forza attrattiva, di energia psichica. La rivisitazione di un sé maturo lascia spazio ad una contaminazione giovanile ripensata, rimodellata. Dove il senso di libertà della figura diventa ultima espressione consegnata dall’artista nel ripescare da “modelli antichi” immagini nuove, ispirate da uno spirito giocoso che spinge via quel senso tragico che a lungo aveva accompagnato l’opera in costante divenire del maestro. 


Modena celebra Giorgio de Chirico con la mostra dedicata a “L’ultima metafisica” nella nuova ala del Palazzo dei Musei. L’ultima metafisica, è curata da Elena Pontiggia. L’esposizione, visitabile fino al 12 aprile 2026, riunisce cinquanta capolavori del Maestro, offrendo al pubblico un percorso affascinante attraverso l’ultima stagione creativa del fondatore della pittura metafisica. Promossa dal Comune di Modena, in collaborazione con la Fondazione Giorgio e Isa de Chirico – da cui provengono tutte le opere esposte – e prodotta da Silvana Editoriale, la mostra rappresenta un importante appuntamento per approfondire il pensiero e la poetica di uno dei protagonisti assoluti dell’arte del Novecento. Diceva Picasso che ci vuole molto tempo per riuscire a diventare giovani. 

Giorgio de Chirico vi riesce in modo singolare a ottant’anni, quando nel 1968 inaugura la sua stagione neo metafisica. È in questo periodo che l’artista torna ai temi, alle figure e ai motivi che avevano animato la sua pittura dagli anni Dieci ai primi anni Trenta, infondendo loro un nuovo significato, più giocoso, pervaso da una giovinezza dello sguardo ormai libera dal senso tragico che, celato dietro un’apparente serenità, permeava le sue opere di oltre mezzo secolo prima.


La mostra intende ripercorrere proprio questo decennio straordinario (1968–1978), in cui de Chirico torna a dipingere manichini, Piazze d’Italia e altri enigmi del suo universo poetico, reinterpretandoli con rinnovata libertà creativa e immaginazione fertile, tra memoria e reinvenzione.

La neometafisica si distingue dalle copie che de Chirico realizzò per gran parte della sua vita per un profondo mutamento di linguaggio e di significato. Con un’accentuata ironia e una tavolozza più vivace, l’artista si allontana dalla visione nichilista e inquieta degli anni Dieci per reinterpretare, in chiave più serena – sebbene ancora venata di malinconia –, i temi che avevano segnato la sua prima stagione metafisica. «La metafisica di de Chirico degli anni Dieci» afferma la curatrice Elena Pontiggia, «voleva esprimere l’enigma, l’incomprensibilità e l’assurdità dell’esistenza. In quella degli anni Settanta il sentimento dell’insensatezza dell’universo si attenua, ed è osservato con ironico distacco».

Alla pittura densa e corposa del periodo “barocco”, de Chirico sostituisce una pittura limpida, fondata sul disegno e sulla costruzione nitida delle forme. La mostra documenta questa fase conclusiva, ma tutt’altro che secondaria, del suo percorso creativo, attraverso alcuni capolavori come Ettore e Andromaca davanti a Troia (1968), L’astrologo (1970) e Sole sul cavalletto (1973). In queste e in altre opere dello stesso periodo – come Il segreto del castello, Interno metafisico con pere e Il segreto della sposa – de Chirico non si limita a ripetere sé stesso: rielabora liberamente le proprie invenzioni, trasformandole in una riflessione matura e ironica sulla vita e sull’arte. L’angoscia esistenziale degli anni giovanili, nutrita di Nietzsche e Schopenhauer, lascia il posto a una saggezza pacata, a una visione dell’esistenza come commedia. 

È il tempo in cui la filosofia di Herbert Marcuse celebra il gioco come espressione di libertà, e la Pop Art esalta la vitalità dei colori: un contesto che, pur non influenzando direttamente de Chirico, dialoga idealmente con la sua rinnovata leggerezza. La pennellata torna nitida, i colori si fanno smaltati, le forme si semplificano.

Ne emerge un linguaggio nuovo, in cui la memoria e il presente si fondono in una poesia dell’eterno ritorno, illuminata da ironia e consapevolezza.

Nell’ultimo decennio della vita, de Chirico mostra dunque una vitalità sorprendente e una libertà intellettuale che sfidano la vecchiaia. La neometafisica diventa la sua risposta serena al tempo, un gioco di memoria e invenzione, una meditazione leggera sul destino umano.