Ci sono film che diventano di una generazione non perché raccontano un’epoca, ma perché raccontano un blocco interiore che quella generazione riconosce al volo. Will Hunting – Genio ribelle è uno di questi: nel 1997 Gus Van Sant prende la storia di un ragazzo con un talento enorme e la gira come se il vero thriller fosse un altro, cioè la paura di cambiare vita quando ti si apre davanti.
A distanza di quasi trent’anni, il film continua a funzionare perché parla una lingua che oggi è perfino più comune: la pressione a “monetizzare” quello che sei bravo a fare, il senso di inadeguatezza travestito da arroganza, l’idea che scegliere una strada significhi tradire il proprio mondo. E, soprattutto, il fatto che dietro molte scelte apparentemente razionali ci sia un trauma non risolto, che si difende da solo con sarcasmo e autodistruzione. Questa sera Will Hunting viene riproposto su Italia 1 in prima serata.