di
Michela Nicolussi Moro

La corsa contro il tempo del dottor Alberto Brolese: era a Rovigo per le feste e il paziente si trovava a Trento. «In autostrada c’era coda ma ho superato tutti sulla corsia di emergenza. Ora il paziente sta meglio»

Entrerà nella letteratura scientifica l’intervento d’urgenza eseguito a Santo Stefano all’ospedale Santa Chiara di Trento dal dottor Alberto Brolese, che dirige la Chirurgia generale 2 e il Dipartimento chirurgico. Nato a Piove di Sacco, cresciuto ad Adria e poi, professionalmente, nell’Azienda ospedaliera di Padova, Brolese ha salvato la vita a un uomo di 77 anni che a Natale aveva mangiato troppe lenticchie, procurandosi una lesione all’esofago.

Dottore ma che è successo esattamente?
«Si tratta di un caso raro, classificato come sindrome di Boerhaave, una lacerazione spontanea e completa dell’esofago. Si verifica di solito dopo uno sforzo intenso, come il vomito forzato, che provoca la fuoriuscita nel torace dei contenuti gastrici e dell’esofago. Può essere letale e succede agli anziani, che hanno tessuti più rigidi. Il paziente aveva mangiato troppo, è intervenuto lo stimolo del vomito ma il cibo in eccesso, cioè le lenticchie, non è uscito dalla bocca bensì è finito nel torace, quindi andava operato subito».



















































Lei era in vacanza però.
«Sì, ero ad Adria, in famiglia. Nei giorni di festa lavorano specializzandi e strutturati reperibili ma il collega che sarebbe dovuto entrare in sala operatoria è ancora giovane, non ha l’esperienza necessaria per affrontare un caso così complesso. La sindrome di Boerhaave ha una mortalità dell’80%. E così quando mi hanno avvertito sono partito subito».

Si è messo in macchina a Santo Stefano?
«Sì, da solo e a mezzogiorno. Ho preso la Transpolesana ed è andato tutto bene ma quando sono entrato sull’A22 per il Brennero ho trovato una coda di 20 chilometri. Avevo 200 chilometri da percorrere e un paziente in fin di vita, così ho messo fuori dal finestrino il fazzoletto bianco e azionato le frecce e sono passato sulla corsia d’emergenza. Agli automobilisti che mi suonavano perché pensavano facessi il furbo mostravo il tesserino di medico dal finestrino, finché una pattuglia della polizia stradale in osservazione in un’area di sosta mi ha intercettato, seguito e fermato. Ho spiegato tutto agli agenti, che quel punto mi hanno scortato a gran velocità fino a Trento».

È entrato subito in sala operatoria?
«Sì, l’intervento è durato quattro ore, ho dovuto scegliere in fretta cosa fare e ho optato per la sutura dell’esofago. Ora il paziente è in miglioramento».

Visti anche i carichi di lavoro degli ospedalieri nel servizio pubblico, mollare le poche ferie per tornare al lavoro non è proprio cosa da poco.
«Se scegli di fare il medico devi anteporre al resto lo spirito di servizio e il senso del dovere, da te dipendono molte vite. È un esempio che ho voluto dare ai giovani e comunque per anni ho fatto parte dell’équipe dei trapianti in Azienda ospedaliera a Padova e i sacrifici li conosco bene. In quel settore si lavora sempre, giorno e notte, festivi e non».

Il suo nome è famoso, è legato a quello del professor Davide D’amico, che il 22 ottobre 1997 eseguì a Padova il primo trapianto di fegato da donatore vivente in Italia.
«Sì, il professor D’Amico mi mandò a studiarlo a Kyoto, in Giappone, patria di quel tipo di trapianto, allora effettuato dal professor Koichi Tanaka. Vi rimasi due mesi, appresi la tecnica e quel 22 ottobre di 28 anni fa fui il primo chirurgo italiano, in collaborazione con Tanaka, a eseguire il prelievo parziale di fegato, organo che ha la capacità di rigenerarsi, da un donatore vivente. Avevo 36 anni. Un ferroviere croato donò parte del suo fegato al figlio malato di tumore, salvandolo».

Una grande esperienza professionale e di vita?
«Sì. L’insegnamento è quello che ora cerco di trasmettere ai giovani colleghi: l’obiettivo è la guarigione del paziente».

Tornando agli eccessi alimentari e alcolici tipici di questo periodo, quali sono i pericoli connessi, oltre al soffocamento indotto dal boccone di traverso?
«Si rischiano epatiti acute su base alcolica, per esempio legate agli eccessi di Capodanno, e poi coliche biliari, pancreatiti acute, nei casi più gravi anche letali, perforazione esofagea con esito quasi sempre nefasto, perforazioni gastriche o duodenali con peritoniti severe, diverticoliti acute. Insomma, bisogna mangiare con moderazione, masticare bene, ingerire bocconi piccoli, evitare alimenti troppo caldi o piccanti, che possono causare edema alle prime vie respiratorie. E bere molta acqua».


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29 dicembre 2025 ( modifica il 29 dicembre 2025 | 16:43)