Attrice, scrittrice e produttrice. Chiara Francini, che ha appena festeggiato 46 anni in un locale giapponese di Roma cantando con il karaoke – i fotografi che c’erano citano i bastioni di Orione di Blade Runner – fa di tutto, spesso con ottimi riscontri. Prossima sfida: La voce di Cupido, tv movie in onda il 30 dicembre su Rai1, alle 21.40. Lei interpreta la protagonista: Cecchi Paola (si presenta sempre così), camionista un po’ burbera ma romanticona. Insomma, una storia di sentimenti. Al suo fianco ci sono Giorgio Marchesi e Michele Rosiello, Roberto Scorza, Mattia Procopio e tanti altri. La regia è di Ago Panini.

Tre anni fa si definì “affamatissima di vita e di tutto”: è così anche adesso?
«Sì, invecchiando sono peggiorata: sono sempre più famelica e sempre più idealista e vogliosa di fare a modo mio. Non sono mai sazia».

Nel film di Rai1 il suo personaggio eredita dal padre camionista il mezzo, e quindi il lavoro: lei, almeno da giovane, ha fatto altro?
«Certo. Quando studiavo all’università, per imparare l’inglese sono andata a Londra e lì ho lavorato per un periodo come cameriera negli hotel, poi a Firenze ho fatto l’impiegata nell’ufficio del personale di una ditta di elettrotecnica. A volte falsificavo le entrate di operai e impiegati, perché se arrivavano in ritardo gli trattenevano dei soldi dallo stipendio. Già guadagnavano pochissimo, come me».

Sul set ha guidato davvero il camion?
«No. Io al volante me la cavo bene, anche perché mio padre era un istruttore di scuola guida, ma questi bestioni sono enormi e spaventosi. Io al massimo tenevo il volante per andare dritti. Abbiamo girato nella Sila, in Calabria, terra splendida ma piena di strade con mille curve».

Dopo il suo monologo sulle donne al Festival di Sanremo 2024, fece uno show in prima serata su Rai1, “Forte e Chiara” (dal nome del suo libro autobiografico del 2023), che fu bruscamente interrotto dopo due puntate: è finita in qualche lista nera, l’ha pagata in qualche modo?
«Non mi sembra. Era un bel progetto, dal quale ho imparato tanto. Non è andato così male, è piaciuto a tantissima gente. È stata una bella esperienza grazie alla quale tante persone mi hanno conosciuto ancora di più».

Lei stessa disse di aver esagerato, di aver fatto “un gin tonic senza tonic”, giusto?
«Effettivamente era un varietà sperimentale con elementi molto diversi e in contrasto fra loro: dal cardinal Ravasi a Cristina D’Avena. Per me, comunque, erano quelli giusti, rivendico tutto quello che ho fatto. Quel progetto mi apparteneva e mi appartiene fino in fondo».

Fin qui ha raccolto il giusto?
«Non faccio questi calcoli. Io seguo la mia strada, vado per conto mio».

Per caso è iscritta a qualche famigerato circoletto del cinema italiano di cui si parla tanto?
«Sono iscritta solo all’anagrafe. Sono una battitrice libera, ho tanti amici nel mondo del cinema ma più che i circoli io ho sempre amato i girotondi».

A proposito: invitata a parlare di Resistenza e Anni di piombo, temi che affronta nel suo ultimo libro “Le querce non fanno limoni”, ad Atreju è intervenuta parlando di dialogo da accettare sempre e comunque, dando di fatto una stoccata al segretario del Pd, Elly Schlein, che non è andata: se un giorno la sindaca di Genova, Silvia Salis, dovesse farsi avanti per guidare il Pd e la chiedesse di scendere in politica, come risponderebbe?
«Io sono andata a quel meeting perché mi sembrava interessante raccontare i disastri del fascismo, e anche perché sono sempre per il confronto anche se c’è il rischio che possa diventare un attrito, ma non volevo criticare Elly Schlein, personalmente la trovo anche molto simpatica».

Lei è stata la madrina del matrimonio della Salis con il regista romano Fausto Brizzi con il quale fece due film, “Maschi contro femmine” nel 2010 e “Femmine contro maschi” nel 2011: se la Salis le chiedesse di scendere in politica, accetterebbe o no?
«Mai. Per me fare politica è una cosa importantissima e nel mio caso vuol dire esclusivamente recitare e scrivere impegnandomi al massimo, trattando temi importanti come i diritti delle donne, la violenza etc. La mia militanza la esprimo così. Non potrei mai fare altro».

Anni fa disse di sentirsi una parvenu: è ancora così?
«Certo (ride, ndr). Sono una provinciale e vengo dal paese (Campi Bisenzio, in provincia di Firenze, ndr), a cui devo tutto quello che sono: un’arricchita, laureata e di talento. Per sempre orgogliosamente parvenu».

La felicità è qualcosa che ogni tanto frequenta?
«Faccio un lavoro che amo, credo nella giustizia, vivo di passioni. Sì, ogni tanto sono felice».

Come attrice da tempo si assegna un bel nove: se ne sono accorti tutti quanto vale?
«Io sono brava, il resto deve chiederlo agli altri che, forse, non se ne sono accorti».

Al cinema poteva fare di più?
«Non sono ancora morta… Ho fatto una cinquantina di film e tanto ancora c’è da girare. Credo molto in quello che faccio e sono un’autarchica. Faccio da sola e non scarico mai la colpa sugli altri. Di sicuro cerco sempre di fare il mio dovere nel migliore dei modi possibili e sempre con la massima libertà. E tutto questo sia quando recito sia quando scrivo libri o articoli (per il quotidiano La Stampa, ndr)».

Lei con sei libri ha venduto più di 150 mila libri…
«Secondo me sono più di 250 mila».

…con queste cifre si aspettava di essere candidata al Premio Strega dal suo editore?
«Sono un’autrice di best seller e ho sempre avuto recensioni meravigliose. Non so perché non sono mai stata candidata allo Strega. Non mi lamento, però, va bene così».

Checco Zalone le piace?
«Certo, è stupendo. Quest’ultimo film, Buen Camino, non l’ho ancora visto, ma spero che incassi l’ira di Dio. Lo trovo un uomo super intelligente, riporta il cinema a un’esperienza collettiva. Quando un film è buono, viene visto e dà un senso a tutto».

Lei nel 2024 ha produtto con una sua nuova società, Nemesis, il docufilm “Coppia aperta quasi spalancata”, tratto dal testo di Dario Fo e Franca Rame, che aveva già portato con successo in teatro, presentato alle Giornate degli Autori alla Mostra del cinema di Venezia: ha avuto fondi pubblici?
«Sì, certo».

Il 70 per cento di quasi 650 mila euro, giusto?
«Io mi occupo dell’aspetto editoriale, non lo so con precisione».

Quanto ha incassato?
«Credo più di 150 mila euro. È uscito nelle sale il 29 agosto, non so in quante copie, e per promuoverlo ho fatto novanta presentazioni in tutta Italia».

La lezione più importante che ha portato a casa dalla partecipazione al Festival di Sanremo 2024 qual è stata?
Non c’è una lezione in particolare, so solo che è stato importante fare un monologo sulla donna come quello perché un po’ ha aperto un dibattito su quello che significa essere una donna oggi».

Nell’approccio alle cose della vita si sente sempre – la cito – ‘na fija de ‘na mignotta?
«Certamente (ride, ndr). Per me vuol dire semplicemente essere sveglia, attenta e connessa».

Il difetto che non è riuscita ancora a correggere qual è?
«Sono un dito in culo… Sono un po’ pesante, sono una donna stremante, non mollo mai. Però a me non sembra un difetto, e poi è la mia natura: sono fatta così».

C’è un prezzo da pagare per esserlo?
«C’è sempre un prezzo da pagare. Però bisogna avere la consapevolezza di quanto c’è nella cassaforte di ognuno di noi».

A proposito, guadagna più o meno del suo compagno?
«Guadagno più io».

Ed è un problema?
«No, assolutamente. È svedese, mica italiano».

Un film da regista, tipo quello che ha girato Paola Cortellesi, lo farebbe?
«No, mai. Non fa per me, non saprei girarlo così bene. E io voglio fare tutto al massimo livello».

Con le tante cose che fa, come si definirebbe oggi?
«Chiara Francini. Basta così».


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