Le ciclostoriche si stanno trasformando e crescendo in una direzione che fa storcere la bocca ai puristi, ma diventano l’espressione di una riscoperta che è una ricchezza, varietà e non limitazione.

C’è stato un tempo in cui le ciclostoriche erano soprattutto un esercizio di rigore. Un mondo fatto di telai saldati a mano, congiunzioni visibili, rapporti duri e cambi sul tubo obliquo; di maglie in lana che pizzicavano la pelle e di biciclette che raccontavano, senza mediazioni, un’epoca precisa del ciclismo. Era una forma di rievocazione quasi filologica, in cui il rispetto delle regole più o meno scritte contava quanto la fatica sui pedali. Partecipare significava, prima di tutto, aderire a un codice.

Ciclostoriche, nuovo corso

Quel mondo non è scomparso. Esiste ancora, vivo e riconoscibile. Ma non è più l’unica espressione possibile delle ciclostoriche. Negli ultimi anni qualcosa si è mosso, lentamente ma in modo evidente, trasformando queste manifestazioni in qualcosa di più ampio, fluido e, per certi versi, sorprendentemente contemporaneo.

Il punto di svolta è stato certamente il successo di eventi come L’Eroica, capaci di uscire dalla dimensione di nicchia per diventare un fenomeno culturale che ha attirato l’attenzione anche di chi è meno interessato alla storia stessa della bicicletta e del ciclismo. Da lì in poi il modello si è diffuso, reinterpretato, adattato a territori e sensibilità diverse. E insieme al pubblico è cambiato anche il senso stesso del partecipare. Le ciclostoriche non sono più soltanto una celebrazione del passato: sono diventate un modo alternativo di vivere il presente.

La Francescana 2021L’essenzialità delle soluzioni del passato

In un’epoca dominata dalla tecnologia, dalla misurazione costante delle prestazioni, dai dispositivi che registrano ogni metro percorso, la scelta di pedalare su una bicicletta essenziale ha assunto un valore quasi controcorrente.

Non si tratta di rifiutare il progresso, ma di sospenderlo per qualche ora.

Di scegliere una velocità diversa, più umana. Niente batterie da controllare, nessun display da interpretare, nessuna ansia da tempo finale. Solo la strada, il ritmo che cambia a seconda del vento e delle gambe, e la libertà di fermarsi quando qualcosa merita attenzione.

È anche per questo che le ciclostoriche parlano sempre più a un pubblico trasversale. Non solo appassionati di storia del ciclismo, ma ciclisti che cercano un’esperienza diversa, meno competitiva e più sensoriale. Una pedalata che non punta al risultato, ma al percorso. Che non misura la prestazione, ma la qualità del tempo trascorso in sella.

Parallelamente, è cambiato il rapporto con il mezzo. Alla ricerca filologica, ancora viva e rispettata, si è affiancata una nuova interpretazione tecnica. Biciclette che riprendono l’estetica del passato ma utilizzano materiali più affidabili, soluzioni più confortevoli, geometrie pensate per affrontare lunghe distanze e strade bianche. Non è un tradimento dello spirito originario, ma un adattamento necessario per rendere quell’esperienza accessibile a un pubblico più ampio. E non è nemmeno un derivare verso soluzioni più moderne verso la bicicletta gravel (che, in altro modo, sta avendo successo proprio per questa interpretazione più moderna).

Meno rigore, più inclusività

Ed è proprio qui che si inserisce una delle trasformazioni più interessanti. Le ciclostoriche, oggi, stanno diventando sempre più inclusive. Meno rigore formale, meno controllo sull’ortodossia del mezzo, più attenzione alla partecipazione. Questo non significa che il rigore sia scomparso: esistono eventi che continuano a difenderlo con coerenza e che rappresentano, per molti, un punto di riferimento identitario. Ma accanto a questi si è sviluppato un universo parallelo, fatto di appuntamenti dove l’obiettivo non è dimostrare fedeltà a un canone, bensì condividere un’esperienza.

Donne eroicaÈ il settore che cresce di più

Ed è proprio questo secondo filone a mostrare la maggiore capacità di crescita. Non perché uno sia “migliore” dell’altro, ma perché intercetta un bisogno diffuso: quello di pedalare senza sentirsi giudicati, di partecipare senza dover superare una soglia culturale o tecnica troppo alta. È una dinamica che gli organizzatori non possono ignorare, perché racconta un cambiamento profondo nel modo in cui le persone si avvicinano alla bicicletta.

Anche l’estetica segue questa trasformazione. Le maglie storiche convivono con divise contemporanee, sempre di lana ma sempre più spesso disegnate per gruppi di amici, collettivi informali, piccole comunità nate attorno a una visione condivisa più che a una tradizione sportiva. L’identità non passa più solo dalla fedeltà a un’epoca, ma dalla voglia di far parte di qualcosa. Che poi è lo stesso ragionamento che aveva portato alla definizione di quelle maglie storiche. C’è voglia di riconoscersi lungo la strada.

Oltre la rievocazione

In questo senso le ciclostoriche sono diventate molto più di una rievocazione. Sono spazi sociali, culturali, perfino politici nel loro modo di reinterpretare il rapporto con il tempo, con il territorio e con la bicicletta stessa. Hanno rimesso al centro strade dimenticate, paesi fuori dalle rotte principali, modi di viaggiare che sembravano superati.

Forse è proprio questo il loro valore più grande: non custodire il passato come un oggetto da museo, ma usarlo come strumento per immaginare un presente diverso. Un presente in cui pedalare lentamente non è una rinuncia, ma una scelta.

Un aumento che rischia di perdere di senso

C’è poi un elemento che merita di essere detto con chiarezza. Chi partecipa alle ciclostoriche, nella stragrande maggioranza dei casi, non ha abbandonato la bicicletta moderna. Anzi, spesso la utilizza con continuità, la conosce a fondo e non ha alcuna intenzione di rinunciarvi. La scelta di pedalare su una bici d’epoca non è un rifiuto del presente, ma una parentesi consapevole, un modo diverso di vivere il gesto ciclistico. Proprio per questo, l’idea di moltiplicare gli eventi rischia di perdere di vista il punto: non serve riempire il calendario se poi manca un’identità forte. Meglio pochi appuntamenti, curati, riconoscibili, capaci di offrire un’esperienza completa fatta di territorio, accoglienza e racconto, piuttosto che una sequenza di manifestazioni tutte uguali, tenute insieme solo dall’etichetta di “ciclostorica”. In questo senso, il futuro non passa tanto dall’aumentare i numeri, quanto dal dare valore a ciò che già esiste, rendendo ogni evento un momento davvero significativo per chi sceglie di esserci.

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