di
Nando Pagnoncelli

Fiducia al governo su di un punto rispetto al 2024. Le intenzioni di voto: Pd in calo dell’1,2%

Se guardiamo all’Italia repubblicana, il governo Meloni si colloca per durata al terzo posto: prima troviamo solo i governi Berlusconi II (dal 2001 al 2005) e Berlusconi IV (dal 2008 al 2011). Nonostante il fatto che nell’anno appena trascorso le differenze di posizioni all’interno della coalizione di centrodestra siano state spesso evidenti e in qualche caso clamorose, in particolare da parte della Lega, o meglio del suo segretario Matteo Salvini (il caso forse più evidente è relativo a pochi giorni fa, con distinguo pesanti da parte del vicepremier sulla Manovra, in contrasto con il proprio ministro dell’Economia, fatto che ha costretto a un vertice imprevisto convocato da Meloni per ricomporre, a fatica, le divisioni); nonostante questo, dicevamo, la fiducia nell’esecutivo si conferma. 

D’altronde, soprattutto guardando alla politica internazionale, il ruolo del nostro Paese sembra essere, se non di traino, quanto meno di testa: è di pochi giorni fa la conclusione del Consiglio Europeo che ha deciso di accedere a bond Ue per sostenere l’Ucraina (con l’eccezione di tre Stati; Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca) da parte di molti osservatori attribuita proprio all’azione della nostra presidente del Consiglio.



















































Diversa naturalmente la situazione interna, più complessa e difficile. La Manovra ha deluso molti, secondo gran parte degli osservatori, anche se ha avuto il merito (opinione sostanzialmente unanime) di tenere i conti in ordine e di far uscire anticipatamente il nostro Paese dalla procedura di infrazione per debito eccessivo. Dall’altro lato l’opposizione segna problemi e difficoltà più nette rispetto alla pur litigiosa maggioranza di governo. 

La politica del principale partito di opposizione, il Pd, «ostinatamente unitaria» come più volte ha detto la segretaria Elly Schlein, sembra incontrare resistenze sempre più esplicite da parte del secondo partito del Campo largo, il Movimento 5 Stelle, il cui presidente Giuseppe Conte ha ribadito un’opzione di «mani libere» proprio pochi giorni fa alla festa di Atreju di FdI. 

Divisioni valoriali e politiche, soprattutto sul tema della politica internazionale e dell’Ucraina, che sembrano di difficile ricomposizione. Vediamo nel dettaglio i dati principali dello scenario politico di fine anno. L’apprezzamento per il governo è, a conclusione di quest’anno, stimato a un indice di 42 (si tratta della percentuale di chi dà giudizi positivi su chi esprime un’opinione, esclusi quindi i «non sa»), in linea rispetto a un anno fa (cresce di un punto) ma in decremento di 12 punti rispetto all’insediamento. 

Si segnala quindi un calo deciso dell’apprezzamento dell’esecutivo, ma va tenuto conto che alcuni dei governi più duraturi dell’ultimo ventennio avevano perso ancora più consenso: il Berlusconi IV aveva perso 35 punti, il governo Renzi (durato meno dell’attuale) ne ha lasciati sul campo 24. Del tutto analoga la situazione relativamente alla presidente del Consiglio. Il gradimento di Giorgia Meloni è oggi stimato al 43, con una crescita di un punto nell’anno e un calo di 15 punti rispetto al momento dell’insediamento. 

Nel corso dell’anno le variazioni del consenso per la premier nei diversi strati sociali sono naturalmente molto contenute data la bassa entità della variazione complessiva, ma se guardiamo ai dati di medio periodo, dall’insediamento a oggi, scopriamo che le perdite maggiori si evidenziano nei ceti popolari: persone in difficoltà economica, operai, residenti nel Sud del Paese, oltre che tra i lavoratori autonomi. Sono quei ceti che si attendevano politiche più radicali (d’altronde più volte ventilate nel corso della campagna elettorale), cui poi non è stato dato seguito, essendo prevalsa necessariamente la realpolitik imposta dalla situazione internazionale e dai vincoli di bilancio.

Guardando poi alle intenzioni di voto, nel corso d’anno le variazioni sono state poco consistenti: possiamo evidenziare solo il calo di poco più di un punto del Pd, oggi stimato al 21,3% contro il 22,5% di fine 2024, la crescita di poco più dell’1% di Azione, dal 2% del 2024 all’attuale 3,1%, e la crescita di poco meno di un punto di FdI, dal 27,6% di allora all’attuale 28,4%. Se compariamo invece i dati attuali a quelli delle Politiche del 2022, vediamo alcune differenze apprezzabili per le forze principali. FdI è infatti in crescita del 2,4%, il Pd del 2,2% rispetto ad allora, mentre il M5S ai dati attuali perderebbe poco meno del 2%. Da sottolineare il lusinghiero risultato stimato per Avs che, collocandosi aggi al 6,1%, guadagnerebbe il 2,5% rispetto alle ultime elezioni politiche. 

Nel centrodestra prosegue il duello tra FI e Lega: la prima stimata oggi all’8,3%, la seconda all’8,1%. Rispetto alle Politiche, tuttavia, si segnala la quasi totale stabilità di Forza Italia (+0,2%) e una contrazione della Lega (-0,8%). Un ulteriore elemento che mostra la staticità del quadro politico è fornito dall’analisi dei flussi elettorali: rispetto alle Europee 2024, infatti, i primi tre partiti possono contare su una ragguardevole fedeltà di voto, basti pensare che l’89,9% di coloro che avevano votato FdI alle Europee oggi confermerebbe la propria scelta di voto, come pure farebbe il 91,1% dei 5 Stelle e l’86,3% dei dem. Inoltre, 3 astensionisti su 4 oggi confermano la volontà di disertare le urne, rendendo vana l’illusione di conquistare il voto degli astensionisti, mentre tra coloro che dichiarano l’intenzione di votare non cambia la graduatoria dei primi tre partiti che raccoglierebbero circa due terzi dei consensi e risulterebbero separati da meno di un punto.

L’elettorato di FdI è piuttosto trasversale, con punte più elevate tra le casalinghe (un tempo le più forti elettrici di Berlusconi), i meno giovani e l’elettorato cattolico. Punte di difficoltà emergono tra i laureati, i giovani, gli studenti, ma anche tra chi è in condizioni di difficoltà economica (dove peraltro è elevatissimo l’orientamento all’astensione). Si conferma anche quest’anno che FdI ha una buona presenza nel Nord del Paese, dove prosegue la sostituzione dell’elettorato leghista. 

Il Partito democratico conferma le caratteristiche del proprio elettorato: età avanzate, pensionati, titoli di studio medio/alti, residenti nel Centro/Nord. Sembra però che ci sia qualche capacità in più, rispetto a quanto emerso lo scorso anno, di presenza nei ceti popolari e in difficoltà economica. In queste aree di elettorato popolare e di disagio economico appare decisamente efficace il Movimento 5 Stelle, che sarebbe il primo partito, ad esempio, tra gli elettori di condizione economica bassa e tra i disoccupati, oltre ad avere un consenso decisamente più elevato nel sud del Paese. Mentre, al contrario, ha un elettorato assai meno consistente tra le persone con titoli di studio elevati e di condizione economica medio alta.

 In sostanza, sembra che nel centrodestra tutte le forze politiche grosso modo insistano sulle stesse aree elettorali evidenziate per FdI, con alcune differenziazioni territoriali (FI più presente al Sud ma anche con una buona performance nel Nordovest; la Lega più forte al Nord e in particolare nel Nordest; FdI piuttosto trasversali, con qualche minor livello di consenso nel Sud e Isole); nel centrosinistra invece le caratterizzazioni delle due forze principali sono complementari: ceti medi e medio alti con punte nel Centro-Nord per il Pd, ceti popolari con punte nel Sud per il M5S.

È qui che sta la scommessa per la costruzione di un’alternativa concretamente praticabile al centrodestra, cioè nella capacità di amalgamare questi elettorati. C’è un elemento di difficoltà però nel percorso di amalgama: se gli elettorati sono socialmente complementari, difficilmente si sovrappongono. Gli elettori del M5S, come si è visto anche, pur in forme differenziate, nelle ultime Regionali, spesso fanno fatica a votare per esponenti del Pd. Sono elettori, infatti, in gran parte «antisistema»: non sono più trasversali politicamente come un tempo (quando, con Grillo, erano presenti in misura consistente elettori che si collocavano a destra, oggi sostanzialmente scomparsi), ma l’orientamento costitutivamente critico verso le istituzioni rimane prevalente. 

A conferma di questo è interessante sottolineare come gli elettori M5S siano quelli che meno degli altri tengono in considerazione l’eventualità di poter votare anche per altri partiti: lo afferma infatti solo una minoranza (il 46%), mentre gli elettori delle altre forze politiche principali per oltre il 60% (62% tra gli elettori Pd, 67% tra chi vota FdI) si dichiarano disponibili a pensare anche al voto per altri partiti. Disponibilità che rimane limitata all’area politica di riferimento: nel Pd si tengono in considerazione in egual misura Avs e M5S, e in FdI, FI e Lega.

Possiamo quindi concludere con alcune considerazioni. L’apprezzamento del governo e della premier rimane elevato e anzi tende, sia pur di poco, a crescere in corso d’anno. Frutto di un riconoscimento internazionale di cui abbiamo parlato, anche a fronte di dissidi, in qualche caso evidenti, interni alla maggioranza (e nelle ultime settimane addirittura all’interno della sola Lega). Si consolidano dunque le buone performance dell’esecutivo e della premier. Per di più quest’anno — e ancora di più dello scorso anno, alla luce delle ultime uscite del presidente del M5S) — sembra difficile la costruzione di un’alternativa praticabile, resa complessa, come abbiamo visto, dalle resistenze negli elettorati. Insomma, almeno per ora, non si vedono scenari diversi all’orizzonte. 

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30 dicembre 2025