Uno spazio espositivo è un luogo che ospita opere e offre a chi entra non solo una visione, ma un’esperienza: un percorso attraverso il lavoro e l’immaginario di uno o più artisti. Nel tempo questi spazi si sono trasformati fino a diventare oggi anche luoghi virtuali sui social media con lo scopo di ampliare il proprio pubblico. Durante la pandemia il processo di trasformazione si è accelerato con la chiusura temporanea di questi innumerevoli ambienti considerati “non necessari”. Ma la necessità di incontrarsi, vedersi e parlare con amici, parenti o anche sconosciuti non ha impedito alle persone di fare file interminabili al supermercato, alle poste o in tutti quei luoghi rimasti aperti, per poter interagire con l’altro.

Alle spalle del Gran Sasso, tra il massiccio più alto degli Appennini e il mare Adriatico, alla periferia di Teramo, si trova “Lava più” una lavanderia self service che lava e asciuga. Proprio uno di quei posti rimasti aperti durante la pandemia che, per la semplice presenza di una macchinetta per le merendine e il caffè, è diventato luogo di incontro tra le persone del quartiere Gammarana.

Un luogo che, per Alessandro Di Massimo, Claudia Petraroli e Andrea Marinucci, tre artisti teramani, è stata un’occasione per immaginare un nuovo tipo di spazio espositivo chiamato Celeste.

“Celeste è un’essenza, non ha genere, non ha un’identità definita” ci racconta Claudia, “è come il cielo”. E sotto il cielo della Gammarana i tre artisti, oggi anche insegnanti rispettivamente a Teramo, Milano e Parma, si sono improvvisati curatori di queste mostre molto speciali, in un primo momento visibili dalla vetrina sulla strada, ma poi insinuatesi tra le lavatrici e le asciugatrici della lavanderia. Ogni artista viene scelto a seconda della potenzialità del lavoro nell’inserirsi all’interno di questo spazio così particolare comunicando sia con le persone venute consapevolmente per la mostra sia con gli inconsapevoli, ritrovatisi lì per lavare e asciugare i propri panni.

L’essere artisti di Alessandro, Claudia e Andrea si riflette anche nel loro modo di curare ogni esposizione: lasciandosi trasportare da quello che non possono controllare, da come un’opera esposta nella lavanderia possa prendere connotazioni diverse grazie alle persone che abitano quotidianamente quel luogo. Quel lavoro esiste e continua a vivere e camminare sotto un’altra forma senza essere sigillato nella sua definizione come spesso può accadere visitando ancora molte mostre oggi. I tre curatori ci rivelano come questo aspetto di imprevedibilità rappresenti anche in una sfida per gli stessi coinvolti.

Quello che emerge ritrovandosi da Celeste è che non è necessario trovarsi a Roma, Londra o New York: anche alla periferia della periferia è possibile vivere un’esperienza unica fatta di incontri e trasformazioni che coinvolgono tutte e tutti.

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