di
Donatella Tiraboschi

L’imprenditore: «Al sindaco Gori dissi: “Non basterà un anno”. Disattese tutte le tempistiche per una città che nel 2027 sarà Capitale dello sport»

Angelo Agnelli, imprenditore dell’omonima azienda di famiglia e storico patron della (fu) Agnelli Tipiesse, la principale società di volley maschile della città liquidata nella primavera del 2023, quell’incontro se lo ricorda come fosse ieri. «Mi dissero: “Trovati una casa per un anno”».

Chi glielo disse?
«C’erano l’ex sindaco Gori, l’ex assessore allo Sport Poli e l’assessore Valesini con tutto il progetto del nuovo palazzetto dello sport sul tavolo. Guardate, ho ribattuto, io di palazzetti dello sport non ne ho mai costruiti, ma mi intendo abbastanza di capannoni per dirvi che non vi credo. A quel punto Gori sbandierò il cronoprogramma: “Guarda qui”. Era molto sicuro di sé. So che sei molto bravo e preciso, obiettai, ma per un’opera del genere serve tempo. Non credo proprio vi basterà un anno».



















































Ha avuto ragione.
«Era il 2022. Da allora non ho più visto alcun progetto, mentre quello che si vede sono i disastrosi ritardi anche nella realizzazione della Gamec. Chi sta governando Bergamo si è trovato un’eredità scomoda, una serie di gatte da pelare, ma levare all’improvviso il vecchio palazzetto è stato un colpo. Oggi non si vede ancora niente. Forse sono stati fatti male i conti o c’è stato troppo ottimismo. Di fatto, tutte le tempistiche sono state disattese per una città che nel 2027 sarà Capitale dello sport e dove l’unico baluardo strutturale cittadino è quello dell’Atalanta insieme a ChorusLife che, in uno slancio di generosità, sostiene il volley femminile».

Dalla sua decisione di mollare tutto, di anni, ne sono già passati oltre tre.
«Li avrei passati nella vana attesa di quella casa che non avevamo più. Ricordo che a quel tavolo tecnico, alla presenza di assessori e professionisti, furono date risposte crude a domande altrettanto crude, anche perché se da un lato qualcuno si lamentava imputando una scarsa lungimiranza, dall’altro i dubbi sui tempi rimanevano. Eppure l’allora sindaco assicurava che i lavori sarebbero partiti a razzo. A quel punto, con il rischio di trovarmi appeso, dissi: vi ringrazio e vi saluto. E tolsi il disturbo».

Una scelta radicale.
«Che sono contento di aver fatto. Davanti a quello scenario mi ero spaventato. Il volley femminile è una realtà diversa dalla nostra, che può contare su più soci, mentre noi eravamo, per così dire, soli. In quelle condizioni, senza più palazzetto, sarebbe stato pericoloso mettere a repentaglio tempo e ingenti risorse aziendali senza avere nessuna certezza».

Lei salutò non solo il Comune, ma liquidò la società che a quell’epoca militava in A2. Una gran bella realtà.
«Per me era un vanto poter proseguire nella scia dell’Olimpia, in quella che era la gloriosa storia sportiva di Bergamo. Nell’ultima stagione perdemmo i playoff contro Vibo che poi non si iscrisse, ma chiedendo un ripescaggio avrei potuto anche tentare la A1, pur con un aggravio di costi perché per una massima serie servono circa tre milioni di euro contro il milione e 200 mila della A2. Ma il lavoro tecnico era di primissimo livello. Lo dimostrano i tanti nostri ragazzi di allora che oggi militano in A2. Per dire, Yuri Romanò, uno degli attaccanti dell’Italvolley più forti, era uno dei nostri».

Fu lui, prima di approdare a Bergamo, a definire la Agnelli Tipiesse come la società che faceva «molte cose fatte bene».
«Eravamo sempre ai vertici della classifica, grazie anche al lavoro del nostro direttore sportivo, Vito Insalata. Posso dire che senz’altro saremmo rimasti dove eravamo fino a che ce lo saremmo potuto permettere, ma non senza un palazzetto dove poter giocare».

Ma lei la famosa casa l’aveva cercata?
«Certo, a cominciare da Treviglio, ma sarebbe stato come fare un salto nel buio, dal momento che già ci giocava il basket, con la Bergamo 1991 Volley che si era spostata lì da Bergamo. Tre squadre in un’unica struttura sarebbero state troppe. Migrammo a Cisano che divenne per qualche tempo, grazie a deroghe su deroghe, la nostra casa, ma occorreva mettere mano al deficit di altezza della struttura. Bisognava recuperare 15 centimetri, smontando e rimontando il parquet a fronte di lavori edilizi complessi con scavi e una spesa di oltre 400 mila euro».

Altre soluzioni?
«Quella più intelligente, da noi suggerita, sarebbe stata negli spazi della Fiera di Bergamo. Si parlò della possibilità di installare una struttura temporanea, un palatenda in uno dei piazzali retrostanti. Un’idea che non solo poteva contare su una comodità logistica con migliaia di parcheggi a disposizione dei tifosi, ma anche basata sull’esperienza di altre città. Ad esempio, a Piacenza proprio in prossimità della fiera da vent’anni è in funzione un palazzetto (il PalabancaSport, ndr) con una capienza di 4 mila persone. In quel modo si sarebbe data una casa a tutti».

Palazzetto a parte, mai pensato ad una sua possibile (ri)discesa in campo?
«Tutto quello che ho fatto l’ho fatto per onorare la storia sportiva di Bergamo. Dopo questi anni di stop, sarebbe come ripartire da zero. Ho dedicato a questo progetto di sport e di vita diciotto anni. Adesso come adesso non penserei di dedicarci più neanche un minuto».


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30 dicembre 2025 ( modifica il 30 dicembre 2025 | 07:38)