di
Sara Gandolfi

Droni del servizio di intelligence Usa in azione nel Paese latino-americano. Dalle Guerre delle banane all’Operazione Condor, fino all’invasione di Grenada e Panama: oltre cent’anni di “interferenze” più o meno segrete

È stata la Central Intelligence Agency (Cia) ad attaccare con droni una struttura portuale sulla costa del Venezuela all’inizio di dicembre, primo raid conosciuto degli Stati Uniti contro un obiettivo all’interno dei confini del Paese latinoamericano. Donald Trump aveva affermato lunedì che le forze statunitensi avevano colpito e distrutto un molo utilizzato da presunti trafficanti di droga, confermando quanto anticipato in un’intervista del 26 dicembre: «È una grande struttura da cui partono le navi…  l’area del molo dove le navi caricano la droga… È l’area di schieramento, è lì che si schierano, e ora non c’è più». La Cnn ha rivelato che è stata la CIA a condurre l’operazione. 

All’inizio del 2025, Trump ha autorizzato la Cia a condurre operazioni in America Latina, ma finora gli Stati Uniti si erano ufficialmente limitati a condurre attacchi in mare contro presunti narcotrafficanti, distruggendo da settembre oltre 30 imbarcazioni nel Mar dei Caraibi e nell’Oceano Pacifico orientale, e uccidendo nei raid una ottantina di persone (le ultime due la notte scorsa). 



















































L’attacco con droni in territorio venezuelano avrebbe distrutto un molo e alcune imbarcazioni ormeggiate, senza provocare vittime. Secondo una fonte anonima citata dalla Cnn, sarebbe stato un raid in gran parte simbolico, «poiché si tratta di una delle tante strutture portuali utilizzate dai narcotrafficanti in partenza dal Venezuela». Secondo il governo statunitense, tali moli sono utilizzati dalla gang venezuelana Tren de Aragua per immagazzinare droga e trasferirla su imbarcazioni per la successiva spedizione verso gli Usa o l’Europa.  

Una lunga storia di interventi Usa in America Latina

La Cia e in generale i servizi di intelligence Usa vantano una lunga storia di interventi, più o meno segreti, in America latina. Negli ultimi due secoli, gli Stati Uniti hanno ripetutamente condotto operazioni militari nel subcontinente che per lungo tempo hanno considerato il loro «cortile di casa». A partire dalla fine del 1800, quando Washington lanciò le cosiddette Guerre delle banane, una serie di interventi militari in America Centrale, per proteggere gli interessi delle società statunitensi che operavano nella regione.

Punto di partenza, la «dottrina Monroe», dal nome dell’allora presidente James Monroe, che nel 1823 per primo dichiarò che «l’America è degli Americani»,  avvertendo le potenze europee ad astenersi da qualsiasi ingerenza nella propria zona di influenza. Nel 1904, con il «corollario Roosevelt», dal nome del presidente Theodore, che fece guerra alla Spagna per il controllo di Cuba, la Casa Bianca rivendicò il «diritto di intervento» nelle questioni interne dei Paesi latinoamericani. 

Ci fu una pausa sotto la presidenza di Franklin D. Roosevelt che nel 1934 introdusse la «Politica del Buon Vicinato», impegnandosi a non invadere o interferire negli affari interni del Paesi latino-americani. Ma la “tregua” fu infranta durante la Guerra Fredda, quando per evitare l’espandersi dell’influenza sovietica Washington finanziò numerose operazioni, perlopiù coordinate dalla CIA, fondata nel 1947, per rovesciare i leader di sinistra eletti nella regione.

Sotto la presidenza di Dwight Eisenhower, nel 1954 la Cia sostenne il colpo di Stato contro il presidente eletto del Guatemala, Jacobo Arbenz Guzmán, e cinque anni dopo elaborò un piano per addestrare gli esuli a invadere Cuba  per rovesciare Fidel Castro, che aveva appena vinto la guerra civile contro il dittatore Fulgencio Batista. La sfida al “lider maximo” proseguì sotto la presidenza del democratico John F. Kennedy, che nel 1961 ordinò la fallimentare Invasione della Baia dei Porci a Cuba

Negli anni Sessanta, la CIA finanziò i gruppi anticomunisti che in Brasile, nel 1964, portarono al golpe contro il presidente João Goulart e all’instaurazione di una dittatura militare filo-americana che durò fino al 1985, e in Ecuador al golpe del 1963 contro il filo-sovietico Carlos Julio Arosemena e alla messa al bando del Partito comunista. Operazioni analoghe si svolsero in Bolivia, in due diverse occasioni: con il colpo di stato del 1964 guidato dal generale René Barrientos Ortuno contro il presidente eletto Victor Paz Estenssoro e poi ancora nel 1971 con il finanziamento dell’ufficiale Hugo Banzer che depose il presidente Juan José Torres, colpevole di aver nazionalizzato diverse aziende statunitensi in Bolivia.

È negli anni Settanta, con la famigerata Operazione Condor, che la Cia ha sporcato con una macchia indelebile la propria reputazione, sostenendo regime brutali e assassini. In Cile, finanziò le forze golpiste che deposero nel 1973 il presidente di sinistra Salvador Allende, reo di voler  nazionalizzare le aziende del rame presenti nel Paese, molte delle quali di proprietà statunitense. Il generale Augusto Pinochet restò al potere per 17 anni. 

Nel 1975, sotto la presidenza di Gerald Ford, la Cia sostenne apertamente le dittature militari di destra in ben sei Paesi latinoamericani – Cile, Argentina, Bolivia, Brasile, Uruguay e Paraguay –  attraverso una rete transnazionale chiamata Operazione Condor. L’obbiettivo era la repressione, anche attraverso “sparizioni”, tortura e morte, di dissidenti politici, esponenti della sinistra e simpatizzanti comunisti. Le dittature utilizzavano un database condiviso per monitorare i loro spostamenti in una spietata caccia all’uomo (o alla donna). Tra le vittime anche molti minori e donne incinte a cui vennero sottratti i neonati, soprattutto in Argentina.

Le interferenze degli Stati Uniti e della Cia negli affari interni a Sud dei propri confini continuò per tutti gli anni Ottanta e per buona parte degli anni Novanta, in particolare in America centrale. Ad esempio, durante la guerra civile in Salvador (1980-1992), dove nel dicembre 1981, il Battaglione d’élite Atlacatl dell’esercito salvadoregno, addestrato ed equipaggiato dagli USA; condusse un vero e proprio massacro nel villaggio di El Mozote, uccidendo circa mille civili, tra cui donne e bambini. 

Nel 1983 gli Stati Uniti optarono per l’invasione militare nella piccola isola caraibica di Grenada, con l’Operazione Urgent Fury che depose il premier marxista-leninista Maurice Bishop. Sei anni dopo, sotto la presidenza del repubblicano George H.W. Bush fu lanciata l’Operazione Giusta Causa: l’invasione di Panama e la cattura del dittatore Manuel Noriega, ex alleato degli Usa, ora accusato di narcotraffico. 

Il caso Venezuela

Maduro come Noriega? Il Venezuela non è Panama e un’invasione terrestre non sembra un’opzione praticabile neppure per le forze armate statunitensi. Trent’anni fa servirono 30.000 soldati, ma nell’enorme Paese sudamericano non ne basterebbero dieci volte tanti. La strategia di Trump, a detta degli analisti, punta piuttosto sulla pressione per spingere Nicolás Maduro alla resa spontanea e ad una «fuga protetta» verso un Paese amico — Russia, Cina, Cuba o qualche Stato africano — per evitare di finire in catene come Noriega. Ma per ora il leader venezuelano resiste all’assedio. 

Maduro non cede, anzi accelera il processo verso la collettivizzazione e la «fase armata della rivoluzione», ispirandosi al concetto maoista di «guerra popolare prolungata», in caso di attacco al Paese. Il caudillo chavista ha ordinato di «distribuire armi» e di «preparare la difesa nazionale» anche nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro, quindi ha scatenato un’ondata di mobilitazione popolare su tutto il territorio nazionale per dar vita in tempi brevi ai nuovi Comitati Integrali di Base Bolivariana: organi con funzione politica, paramilitare e di vigilanza sociale, il cui obiettivo è organizzare una rete capillare di spionaggio fra i cittadini. 

La partita a scacchi fra Washington e Caracas potrebbe dunque essere ancora molto lunga. Sulla pelle di milioni di cittadini venezuelani e delle migliaia di persone rinchiuse senza processo nelle carceri del Paese latino-americano.

30 dicembre 2025 ( modifica il 30 dicembre 2025 | 10:45)