Una cartografia eccentrica, quasi un’ esposizione-saggio dell’arte tardo ottocentesca napoletana estremamente seduttiva nello svelare scorci e angoli affascinanti forse ancora inesplorati: la galleria di opere che impreziosiscono gli interni del famoso e celebrato Gran Caffè Gambrinus a Napoli è un museo involontario coinvolgente, policromo che spinge lentamente lo sguardo dello spettatore al di là dei recinti chiari della visione.
Ciò che maggiormente attrae di questo luogo è l’eufonia complessiva del progetto d’insieme: pitture, statue, fregi in seta, stucchi, cristalli, ricostruiscono infatti alcuni significativi momenti della vicenda dell’arte napoletana tra XIX e XX secolo.
Gran Caffè Gambrinus- Interni
Gran Caffè Gambrinus – esterni
Quando se ne percorrono le eleganti sale da the, non si può non rimanere incantati dalle ortensie azzurre del De Sanctis, dai ritratti seducenti di Vincenzo Caprile, dalle colombe di Andrea Petrone o dalle fantasie di Vincenzo Irolli. Ma non solo, la collezione annovera più di quaranta dipinti realizzati dai più grandi autori napoletani chiamati in rassegna nel 1890 da Antonio Curri, nell’ambito di un importante restyling del Caffè voluto da Mariano Vacca, imprenditorie fra i più in vista in città.
Entrando dal pass principale, si incontra la hall dedicata al Principe Antonio De Curtis, rivestita da lussuosi luccichii di specchi, da lesene, da sculture, intagli e modanature dorate che sintetizzano una sinfonia fatta di poesia, teatro, danza, musica. Giusto a queste tensioni rinvia la sala Michele Sergio, dal nome dell’imprenditore napoletano che nel 1973 ha rilevato la gestione del Gambrinus.
Si tratta di un ampio ambiente diviso in più campate dove il gusto per la spettacolarizzazione delle tele rivela la dialettica classicistico-romantica sorta intorno allo stile di Domenico Morelli e alle conclusioni logico-stilistiche di cui poteva dar esempio.
Nel vasto scenario di un territorio che concede infiniti spunti lirici, c’è, ad esempio, chi indugia sull’ universo femminile (Fantasia di puti-pù di Vincenzo Irolli); chi rimarca aspetti psicologici dei personaggi, tratteggiandoli con estro coloristico (Signora che fuma di Raffaele Tafuri); chi evoca paesaggi con occhio accuratamente rivolto ad aspetti romantici di cifra posillipista (Tramonto di Giuseppe De Sanctis) e chi risente del contatto con i grandi della scena europea come William Turner e Jean-Baptiste Camille Corot (Veduta di Capri di Carlo Brancaccio).
Fantasia di putipù, Vincenzo Irolli
Signora che fuma, Raffaele Tafuri
Una serie di lavori come Popolana di Luigi Fabron, Popolana con zucca di Luca Postiglione, Lucianella di Vincenzo Caprile, Contadina di Carmine Toro, Il venditore di melloni di Vincenzo Volpe, attraversando le porosità dei muri, il chiasso dei vicoli, l’odore del mare, registrano scene che richiamano frammenti di vita quotidiana popolare fra realismo e tensione oggettiva, con un codice capace di tradurre ansie di libertà e nuovi bisogni di concretezza.
La lucianella, Vincenzo Caprile
Venditore di melloni- Vincenzo Volpe
Sommozzatori, Gaetano Capone
Se fregi classici come quelli di Vincenzo Alfano o le cariatidi, i telamoni e le ghirlande di Saverio Sortini risentono di sensibilità simboliste in atmosfere delicatamente déco, Donna fra i limoni di Vincenzo Migliaro, Tra le colombe, di Andrea Petrone, impostati con linee compositive morbide e contorni delicati, rivelano, invece, taluni contatti internazionali intrattenuti con pittori coevi.
Fronn’ e limone, Vincenzo Alfano
Tra le colombe, Andrea Petrone
Tra questo mosaico variegato di linguaggi e tendenze, non mancano anche esempi di quel giapponesismo di fine secolo trapiantato a Napoli da Vittorio Pica: Alla villa di Edoardo Matania e Trottoir di Luigi Scorrano.
Un’ultima particolare nota. Dopo aver oltrepassato la raffinata sala della Rotonda, dedicata a Salvatore Di Giacomo, decorata in calotta dal bassorilievo Tarantella di Salvatore Cepparulo, si giunge nel salone Amato Lamberti. Qui la scena si concentra soprattutto sul famoso dipinto Il Monaco beone, realizzato da Francesco Paolo Diodati che, secondo una tecnica d’effetto realizzata con poche pennellate veloci ed essenziali, omaggia la birra, e dunque il simbolo stesso del Gran Caffè Gambrinus, elegante atelier della memoria, decisamente passionale, orgoglio per la città.
Il Monaco beone, F. P. Diodati
In una collocazione strategica, tra piazza Trieste e Trento, via Toledo e piazza del Plebiscito, il Gran Caffè Gambrinus occupa alcuni ambienti del piano terreno del palazzo della ex Foresteria della Casa reale. Fondato nel 1860 come Gran Caffè, nel 1890 fu oggetto di un radicale restyling voluto da Mariano Vacca, imprenditorie napoletano fra i più in vista nella sua città, che affidò all’architetto pugliese Antonio Curri le soluzioni artistiche all’interno delle sale.
Il risultato fu un capolavoro d’arte rappresentato da i nomi di Luca Postiglione, Pietro Scoppetta, Vincenzo Volpe, Edoardo Matania, Attilio Pratella, Giuseppe Alberto Cocco, Giuseppe Casciaro, Luigi Fabron, Giuseppe Chiarolanza, Gaetano Esposito, Vincenzo Migliaro, Vincenzo Irolli e Vincenzo Caprile.
Jean-Paul Sartre a Ernest Hemingway, Elisabetta Amalia Eugenia di Wittelsbach e Benedetto Croce, Oscar Wilde, Gabriele D’Annunzio, Marinetti, Enrico Caruso Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao, sono solo alcuni dei molti personaggi illustri che ne hanno amato le sale, intrattenendosi fino a tarda notte.
Caffè letterario (qui sono ospitate presentazioni di libri, recitazioni in prosa e in versi, dibattiti culturali e politici, eventi), ancora oggi il Gambrinus è uno dei caffè storici più importanti d’Italia e del mondo, nonchè membro della prestigiosa Associazione Locali Storici d’Italia.
Oltre a essere un motivo d’orgoglio per ogni napoletano è una tappa fissa per chi viene in visita a Napoli. Dal suo soggiorno di Villa Rosebery, il Presidente della Repubblica Italiana si reca ogni 1º gennaio al Gran Caffè Gambrinus, per la prima colazione dell’anno.
Storica e critica d’arte, curatrice, giornalista pubblicista, Loredana Troise è laureata con lode in Lettere Moderne, in Scienze dell’Educazione e in Conservazione dei Beni Culturali. Ha collaborato con Istituzioni quali la Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio di Napoli; l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa e l’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli. A lei è riferito il Dipartimento Arti Visive e la sezione didattica della Fondazione Morra di Napoli (Museo Nitsch/Casa Morra/Associazione Shimamoto) della quale è membro del Consiglio direttivo. Docente di italiano e latino, conduce lab-workshop di scrittura creativa e digital storytelling; è docente di Linguaggi dell’Arte Contemporanea presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli e figura nel Dipartimento di Ricerca del Museo MADRE. È autrice di cataloghi e numerosi contributi pubblicati su riviste e libri per case editrici come Skira, Electa, Motta, Edizioni Morra, arte’m, Silvana ed.










