Doveva essere il brano più atteso di inizio 2026 ma è diventato l’ultima sorpresa del 2025. «Phantom», il tanto decantato duetto tra Geolier e il mito hip hop 50 Cent, è stato pubblicato ieri notte, all’una, sull’onda di un atto di spoileraggio lanciato l’altra sera su TikTok. Quanto i due brani coincidano – il giornale va in stampa prima dell’uscita del pezzo ufficiale – non è dato sapere, ma è forte il sospetto che il brano che abbiamo ascoltato, spammatissimo su tutti i social network e le chat, sia una versione parziale e incompleta, magari divergente nell’inizio di Manu più che nel ritornello, o nel flow di Curtis James Jackson III. Di sicuro si tratta di un passo importante non solo per il ragazzo del rione Gescal, ma per tutto il movimento rap italiano, e farà bella figura in «Tutto è possibile», quarto album di Manu, in uscita il 16 gennaio e destinato a monopolizzare le classifiche di inizio anno, forte anche del duetto postumo ed inedito con Pino Daniele che dà il titolo all’album.
APPROFONDIMENTI
A proposito di classifiche: in attesa di quelle ufficiali dei dischi più venduti in Italia nel primo semestre del 2025 hanno impazzato Olly («Tutta vita»), lo stesso Geolier («Dio lo sa», pur uscito nel 2024), la coppia Sfera Ebbasta-Shiva («Santana money gang»), Marracash («È finita la pace»)…
Con così tanto hip hop autarchico non dispiaccia se la personale «chart» degli album migliori dell’anno guarda all’estero – con eccezioni veraci – e a suoni meno mainstream. Su questo fronte, come del resto in generale, non si registrano titoli epocali, anche se qualcuno segnala l’exploit della Rosalia di «Lux», sicuramente coraggioso e vario, ma forse non perfettamente a fuoco nell’assalto al cielo operato dalla diva catalana, che canta in tredici lingue (compresa la nostra) e si fa accompagnare dalla London Symphony Orchestra mescolando, come una Madonna (nel senso della signora Ciccone) che ha studiato, sacro e profano, spiritualità e carnalità, misticismo femminile e biografia personale. Qualcuno sdogana persino il Bad Bunny di «Debì tirar mas fotos», ma, pur riconoscendo i passi in avanti (e il rifiuto di esibirsi negli Usa di Trump) del re del reggaeton, sarà meglio andare in questa direzione col freno tirato.
Gli amanti del rock si sono consolati con i Geese di «Get killed», anche se il paragone con gli Strokes profuma di revival del revival. La voce baritonale di Cameron Winter ha conquistato, però, persino Nick Cave e di fronte a cotanto giudizio chi siamo noi per aggiungere dubbi sull’originalità dell’operazione?
Nell’anno che si è portato via una stella del nu soul come D’Angelo ci si può consolare con Blood Orange ed il suo «Essex honey»: londinese a New York non dimentica le sue radici e guarda anche alla delicatezza dei Durutti Column. O con meno originalità e più orecchiabilità, con «Baby» di Djon. Per alzare un po’ il ritmo sul fronte black c’è il ritorno di Bootsy Collins con «Funkateer».
Non per fare gli… estrosi, ma per trovare qualcosa di davvero sorprendente bisogna rivolgersi a «Los Thuthanaka» del duo omonimo, che sovverte la musica andina iniettandola di elettronica. O forse fa il contrario? I Pulp di «More» confermano sé stessi, e di questi tempi è grasso che cola. Stesso discorso per gli Stereolab di «Instant holograms on metal film».
E gli italiani? Vince il dialetto, e stavolta Geolier non c’entra, anche se è decisamente il più importante alfiere del napoletano tornato lingua della canzone italiano. Spazio a La Niña, che con «Furèsta» addolcisce il dolore per la dipartita di Roberto De Simone e fa ben sperare – anche vista dal vivo – sul fronte di una nuova canzone popolare verace, capace di tenere insieme le radici e le ali. Ma spazio anche al siciliano della Carmen Consoli di «Amuri luci». Tornando all’idioma di Dante, ben venga l’exploit di Lucio Corsi con «Volevo essere un duro», ma soprattutto il canto delicatissimo di Niccolò Fabi in «Libertà negli occhi».
Nulla di epocale, comunque, abbiamo viste annate ben più ricche, inutile negarlo. Meglio, allora, guardare ai dischi che verranno, al debutto di «Phantom» ed al resto dei suoni che saranno ricordando – anche di fronte a dipartite come quelle di James Senese, Ornella Vanoni, Ozzy Osbourne, Steve Cropper, Lalo Schifrin, David Johansen, Roy Avers, David Thomas, Sly Stone, Brian Wilson, Connie Francis, Rick Davies, Jimmy Cliff… – la lezione di John Cage che al sottoscritto che gli chiedeva cosa servisse per trovare nuove musiche dedicò un augurio: «Happy new ears». Buone orecchie nuove anche a voi, in un processo necessario di riverginazione sonica. Ma anche, è arrivato il momento per dirlo: happy new year.

