di
Andrea Nicastro
Lo scrittore israeliano: «I media tradizionali sono responsabili nel mantenere lo stato d’ansia. Siamo affetti da empatia selettiva che impedisce di comprendere la sofferenza degli altri»
DAL NOSTRO INVIATO
TEL AVIV – Edgar Keret si ferma, per la prima volta in tutta l’intervista sorride e si batte la mano sulla fronte. Come a dire sapevo che questo momento sarebbe arrivato. «Vuole che pronunci quella parola che inizia per G? Posso dire quel che vedo: che Israele sta distruggendo intere città, che sta spostando milioni di persone da una parte e dall’altra, che usa la fame come arma di guerra. Vedo che è disumano, orribile, inaccettabile. Ma questa smania di definire è frutto della cultura Instagram. Putin è come Hitler? No è diverso. Quel che succede a Gaza è genocidio? Non lo so. Finiamo questo massacro, liberiamo gli ostaggi e poi chiamiamo i migliori giuristi del pianeta per capire se quest’orrore rientra nella categoria del genocidio e allora lo urleremo ai quattro venti: genocidio. Ma prima, per favore, fermiamolo».
La guerra si sta espandendo, il gabinetto Netanyahu ha deciso l’invasione completa della Striscia.
«Un incubo. Stiamo vivendo un momento storico in cui la democrazia ha smesso di funzionare. La stragrande maggioranza degli israeliani vuole fermare la guerra e liberare gli ostaggi. Solo un 20% è favorevole a continuare con la violenza, magari anche spianare Gaza e approfittare del momento per vessare i palestinesi in Cisgiordania. Sono all’incirca due milioni di persone, estremisti come ce ne sono in tanti Paesi: razzisti, messianici, fanatici. Ma sono una frangia, come i neonazisti in Germania. Solo che qui sono al governo. Purtroppo per noi e i palestinesi fanno i ministri».
Ma i sondaggi non vedono Netanyahu così in basso.
«Può essere che io stesso mi voglia ingannare, che non sappia accettare la realtà, però studio le ricerche demoscopiche e vedo che l’80% degli israeliani vuole smettere di combattere e che gli ostaggi siano a casa. L’abilità di Netanyahu è ripeterci da anni ormai, che sta trattando, che questa è la settimana decisiva, così va avanti col suo piano. Ha sempre lavorato creando caos, impedendo alla gente di ragionare».
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Come ci riesce?
«Se chiedo a chi passa per strada cosa stiamo facendo a Gaza, mi rispondono alzando le mani: non lo sanno. C’è un problema prettamente israeliano e un altro mondiale. Noi siamo ancora nella nebbia del 7 ottobre. Non è stress post traumatico, è trauma continuo. La gente ha paura dei palestinesi, si sente insicura, si fida solo dell’esercito. E poi c’è il problema generale. Ci sono persone orribili come Trump e Netanyahu che riescono a far fare alla gente ciò che non vuole. L’intero sistema collabora. I social aiutano, ma anche i media tradizionali sono responsabili nel mantenere questo stato d’ansia e adrenalina che impedisce di pensare. Non passa sera senza un programma sul 7 ottobre. Invece su Gaza il nulla o quasi. Aspettiamo l’inviato americano Witkoff come fosse Godot. Deve andare lui a Gaza per dirci se c’è o no la carestia? Ma siamo pazzi?».
Dovrebbe essere compito degli intellettuali chiarire gli inganni del potere.
«Ci provo scrivendo, ma anche tutti i sabati, con mia moglie in strada. Stiamo fermi con la foto di un bambino palestinese in mano. Nell’universo vittimistico in cui siamo immersi chi guarda non riesce ad accettare che esiste un’altra vittima. Siamo affetti da empatia selettiva che impedisce di comprendere la sofferenza degli altri».
Che reazioni ottiene?
«Una signora mi ha urlato: “Ma non capisci che sono immagini create con l’intelligenza artificiale?”. Un altro mi ha detto che i gazawi potrebbero disfarsi di Hamas e tutto finirebbe, se non lo fanno è perché sono complici. Di solito non rispondo, ma in quel caso non ce l’ho fatta. Ho detto che noi abbiamo manifestato per mesi a centinaia di migliaia per liberarci di Netanyahu e non ci siamo riusciti. Come fanno i palestinesi con Hamas?».
Non è facile uscirne.
«La storia va verso i due Stati israeliano e palestinese che vivono uno accanto all’altro e i Patti di Abramo con i vicini. Voglio credere che Netanyahu e i criminali come Ben-Gvir siano un accidente della storia. Che prima o poi usciremo dalla nebbia del 7 ottobre e capiremo in che tragedia siamo finiti».
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5 agosto 2025
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