di
Giovanni Viafora
L’incredibile caso ad Ancona. L’uomo (che resta grave) colpito da una balestra. Il professor Iacoangeli: «In Italia mai visto nulla di simile, decisivo anche il materiale del dardo»
Professore, ma è possibile?
«Se la freccia segue il tragitto “giusto”. Se evita le aree nobili del cervello, le strutture cosiddette eloquenti — l’arteria pericallosa, il seno sagittale superiore, i grossi vasi venosi — allora può accadere. Un millimetro più in là, e il paziente sarebbe morto sul colpo. È stato fortunato. O — se uno ci crede — aiutato dall’alto».
Al telefono, dall’ospedale di Torrette ad Ancona, il professor Maurizio Iacoangeli, primario di Neurochirurgia, racconta l’incredibile. Un uomo di 64 anni è sopravvissuto per due giorni in casa con una freccia conficcata in testa, sparata da una balestra di sua proprietà, prima di essere trasportato in ospedale (vigile e cosciente!) ed essere affidato alle cure dei medici. I carabinieri in queste ore stanno indagando per ricostruire la dinamica e le motivazioni dell’incidente. Ma, naturalmente, ciò che ora prevale è il dato medico. O, meglio, miracoloso. Sebbene il quadro resti inevitabilmente critico.
Partiamo dall’inizio.
«Mi chiama il mio giovane collaboratore: “Prof, c’è una TAC da vedere”. E io vedo questa freccia. Una linea scura, dritta, che attraversa il cranio dalla fronte alla nuca. Eppure, il paziente era arrivato cosciente, con gli occhi aperti. Blaterava parole sconnesse, ma parlava. Due giorni senza mangiare né bere, da solo in casa. La freccia gli impediva perfino di girare la testa».
Una traiettoria “chirurgica”.
«Incredibile ma vero. Ha seguito un percorso che noi, in sala operatoria, talvolta scegliamo di proposito: più lungo ma più sicuro. Come se avesse evitato apposta i punti vitali. È passata leggermente paramediana, non sulla linea mediana. Una via “intelligente”».
Cos’altro può aver contribuito?
«Il materiale della freccia, il carbonio. Il che, nella tragedia, è stato un altro colpo di fortuna. Non ha creato artefatti alla TAC: abbiamo potuto studiare tutto con chiarezza. I vasi, le strutture attraversate, il tragitto. Così abbiamo potuto pianificare al meglio l’intervento. Perché non è tanto toglierla. È toglierla senza far partire un’emorragia massiva. La freccia fa da tappo. Tu la sfili e rischi che il buco si apra».
Quanto ci avete messo a toglierla?
«Un paio d’ore. La procedura è stata eseguita dal dottor Maurizio Gladi e dalla dottoressa Klaudia Musteqja. Io ho solo guidato. Ma qui non conta la durata. Conta la preparazione. La TAC, l’anestesista, il campo sterile. Tutto, un processo multidisciplinare. Perché magari togli la freccia in venti minuti. Ma se non hai previsto il peggio, il paziente muore. E nel nostro mestiere il 2% di complicanze è troppo. Devi essere pronto a tutto. Anche ora, la situazione resta delicatissima».
Aveva mai visto nulla di simile?
«Fatalità, proprio con il mio collaboratore, abbiamo lavorato per un periodo negli Stati Uniti, a Jackson in Mississippi. Ogni giorno c’erano tre ricoverati per colpi d’arma da fuoco, c’era gente che veniva in pronto soccorso coi pugnali conficcati nel cranio a piedi da sola. Ma in Italia…».
Ecco, in Italia?
«Un collega al San Camillo una volta operò un pescatore colpito da una fiocina. Ma è rarissimo. Più facile vederli in contesti bellici. Abbiamo un amico/collega, Rocco Armonda, neurochirurgo dell’esercito americano che è stato impegnato negli anni in diversi scenari: Iraq, Iran, ora Ucraina. Tiene lezioni sulle lesioni penetranti nei teatri di guerra. Proprio di recente è stato lui a insegnarci molti trucchi per questo tipo di interventi».
In letteratura si ricorda spesso la straordinaria vicenda di Phineas Gage, l’operaio americano che a fine Ottocento fu trafitto da un palo in testa. Sopravvisse ma i suoi connotati caratteriali e morali cambiarono completamente. Potrebbe accadere anche in questo caso?
«Dobbiamo sperare intanto che il paziente ce la faccia: è stato due giorni senza bere e mangiare; può sopravvenire un’infezione. Detto questo, ho il ricordo di due pazienti bilingui, operati per tumori al cervello: si sono svegliati parlando solo inglese. L’italiano era sparito. On/off. Come se il cervello avesse premuto un interruttore. Misterioso, e meraviglioso».
Quanto poco conosciamo del cervello?
«Sappiamo poco, è vero. Noi diciamo che la freccia ha attraversato zone “non eloquenti” o “ridondanti”, ma esiste davvero qualcosa di ridondante o esiste qualcosa che noi non conosciamo? Oggi si parla molto di plasticità cerebrale, ovvero del fatto che parte del cervello compensi delle funzioni perse da un’altra parte. Ci credo molto. Mi ricorderò sempre di quel famoso campione ungherese di tiro al piattello, Karoly Takacs, che perse la mano destra per una bomba e che per vincere due ori alle Olimpiadi imparò a sparare con la sinistra».
5 agosto 2025 ( modifica il 5 agosto 2025 | 09:57)
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