Non più solo diagnosi e terapie, ma benessere, prevenzione e inclusione. È questa la direzione del nuovo Piano Nazionale per la Salute Mentale 2025-2030 (qui il documento) appena presentato dal Ministero della Salute. Un documento che non si limita a riformare i servizi, ma propone un cambio di prospettiva: la salute mentale non è un tema per specialisti, ma una questione che riguarda tutti.
Una nuova visione: la salute mentale come diritto di cittadinanza
Il Piano Nazionale, è il risultato di un confronto ampio e partecipato, che ha coinvolto esperti del settore, istituzioni pubbliche, realtà territoriali e professionisti della salute. L’obiettivo non è solo riformare le strutture esistenti, ma costruire un sistema realmente capace di rispondere alle esigenze delle persone in modo tempestivo, multidisciplinare e umano. Il documento si articola in sei macroaree di intervento, che toccano aspetti fondamentali della vita quotidiana: dalla prevenzione dei disturbi psicologici, alla gestione delle fragilità nei contesti penali, passando per l’attenzione all’infanzia, alla maternità e all’integrazione tra mondo sanitario e sociale.
Lo psicologo di primo livello: una figura che mancava
Una delle novità più concrete, è l’introduzione dello psicologo di primo livello, una figura pensata per intercettare i disagi lievi e moderati prima che diventino cronici. Sarà presente nelle microéquipe territoriali, accanto a medici, infermieri ed educatori, e lavorerà in stretta collaborazione con i medici di base. Questa figura non sostituisce lo psicoterapeuta, ma lo affianca, offrendo un primo punto di ascolto e orientamento. Un passo importante per alleggerire i servizi specialistici e per dare risposte più rapide a chi vive un momento di difficoltà.
Presentato il Piano 2025–2030: tra le novità, lo psicologo di primo livello, percorsi per giovani e madri, integrazione tra sanità e territorio (Getty)
Giovani e salute mentale: accompagnarli nel passaggio all’età adulta
Il piano dedica ampio spazio all’infanzia e all’adolescenza, con particolare attenzione alla transizione tra i servizi per minori e quelli per adulti. Spesso, infatti, i ragazzi che ricevono supporto da piccoli, si ritrovano soli una volta compiuti i 18 anni. Per evitare questa discontinuità, verranno create équipe di transizione specializzate, capaci di accompagnare i giovani in modo graduale e personalizzato.
Mamme e depressione: quando la fragilità non si vede
Un altro tema centrale è la salute mentale nel periodo perinatale. La depressione in gravidanza e nel post-partum è ancora poco riconosciuta, ma colpisce molte donne. Il piano prevede screening già dal primo trimestre e percorsi terapeutici graduati, con la possibilità di attivare unità madre-bambino nei casi più complessi.
Giustizia e salute mentale: non lasciare indietro chi è più vulnerabile
Anche il mondo della giustizia entra nel piano, con l’obiettivo di garantire continuità di cura alle persone detenute o coinvolte in procedimenti giudiziari. I consultori familiari diventano punti di riferimento per i minori in situazioni delicate, mentre si rafforza la collaborazione tra servizi penitenziari e territoriali.
Più integrazione, meno frammentazione
Uno dei pilastri del piano è l’integrazione tra sanità e servizi sociali. Per facilitare percorsi di cura più completi e personalizzati, vengono rilanciati strumenti già esistenti come, il Budget di Salute, che consente di costruire progetti individuali a partire dalle esigenze di ciascuno; l’abitare supportato, pensato per favorire l’autonomia di persone con fragilità; e la prescrizione sociale, che collega i cittadini ad attività utili al benessere (come sport, arte, volontariato) non strettamente mediche.
Formazione e ricerca: investire sulle competenze
Affinché il Piano diventi qualcosa di concreto e non resti una buona intenzione sulla carta, è, però, indispensabile investire sulle competenze di chi ogni giorno lavora nei servizi. Serve personale formato, aggiornato, in grado di affrontare una realtà in continua evoluzione. E proprio su questo il Piano insiste con forza, proponendo una revisione profonda dei percorsi formativi, sia universitari che post-laurea, per adattarli alle nuove esigenze, come per esempio le nuove dipendenze, da quelle digitali a quelle affettive. In parallelo, si intende rafforzare la ricerca, valorizzando le collaborazioni tra università, aziende sanitarie, Istituto Superiore di Sanità, enti scientifici e centri di eccellenza. L’obiettivo è duplice: produrre conoscenze applicabili alla pratica quotidiana e diffondere buone prassi sul territorio.
Un piano ambizioso, ma servono risorse e volontà
Il Piano Nazionale per la Salute Mentale è stato trasmesso alla Conferenza Unificata per l’approvazione. Ora la palla passa alle Regioni che dovranno recepirlo e attuarlo, anche se, al momento non sono previste risorse aggiuntive. Il rischio, come spesso accade, è che le buone intenzioni restino sulla carta. E sarebbe un grave peccato da parte delle istituzioni, perché mai come oggi, la salute mentale è al centro della vita delle persone. E questo piano, se davvero messo in pratica, potrebbe iniziare a cambiare la vita di molte di loro.
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