Medici, cos'è lo "scudo penale" e perché è stato ancora rimandato

ImagoEconomica

Ancora un rinvio per il provvedimento che avrebbe dovuto rendere strutturale lo “scudo penale” per i professionisti sanitari. Il Consiglio dei ministri di ieri ha deciso di rinviare l’approvazione del disegno di legge delega presentato dal ministro della Salute, Orazio Schillaci, dopo un avvio di discussione che ha fatto emergere alcuni nodi ancora da sciogliere.

Delusione è stata espressa dai sindacati medici, che attendono da tempo che venga reso stabile il provvedimento introdotto dal governo Draghi per mettere al riparo dai contenziosi i professionisti sanitari alle prese con il Covid-19 nel 2021 (e prorogato ripetutamente sino alla fine del 2025), quando non esistevano terapie affidabili e condivise.

Da parte sua Cittadinanzattiva esprime apprezzamento per alcuni aspetti del provvedimento che cercano di ovviare al fenomeno della mancanza di servizi sanitari in alcune aree (cosiddetta “desertificazione”), ma chiede che le norme sulle responsabilità medica «non precludano la possibilità dei cittadini di avere giustizia in caso di errori conclamati e chiari».

Il ddl Schillaci ha un orizzonte ampio, e mira a rendere più attrattivo il lavoro nel Servizio sanitario nazionale (Ssn) e invertire la tendenza a lasciarlo. Infatti nonostante in Italia i medici siano in numero superiore alla media dei Paesi Ocse (4,1 ogni mille abitanti contro 3,7) è noto che vi sono specifiche aree professionali e in parte anche geografiche che soffrono di carenze.

Per questo il ddl vuole incoraggiare il mantenimento in servizio il personale grazie a incentivi per lo sviluppo della carriera e misure in favore di chi lavora in aree disagiate o in condizioni particolari (verosimilmente i Pronto soccorso); prevede il ricorso a forme di lavoro flessibile con l’impiego nel Ssn degli specializzandi, compatibilmente con le loro esigenze di formazione.

Il ddl prende l’impegno a sburocratizzare l’attività amministrativa che pesa sul personale sanitario, prevede l’istituzione di una Scuola di specializzazione post laurea in Medicina generale che vada a sostituire gli attuali corsi regionali. Per potenziare la formazione specialistica si punta anche a scuole di specializzazione per l’odontoiatra, il chimico e il biologo che lavorano nel Ssn, in modo da valorizzare le rispettive professionalità.

Inoltre il disegno di legge delega ipotizza provvedimenti che promuovano meccanismi premiali legati a valutazione e misurazione della performance, compresa la riduzione delle liste d’attesa; garantiscano maggiore sicurezza ai professionisti della salute; migliorino la pianificazione del numero di specializzandi in ciascuna area medica.

Ma sicuramente il provvedimento più discusso e atteso, e su cui in Consiglio dei ministri si è incagliato, è quello del cosiddetto “scudo penale”, cioè la copertura dei medici dalla imputazione penale a meno di dolo e colpa grave. Nei giorni scorsi, il sindacato medico Anaoo-Assomed aveva sollecitato il provvedimento, lamentando, osservava il segretario nazionale Pierino Di Silverio, che «i camici bianchi continuano a essere bersaglio di cause penali e civili quando non di entrambe, per essere assolti nel 97% dei casi. Senza poter essere risarciti del giudizio di ben sei tribunali: civile, penale, deontologico, aziendale, erariale e il peggiore, quello mediatico».

Di qui il rammarico ieri di Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo), che sottolinea che «lo scudo sarebbe servito per rendere più sereni i medici. Abbiamo apprezzato l’impegno del ministro della Salute, Schillaci, che si è adoperato per portare avanti il provvedimento. Speriamo si possa esaminare in Consiglio dei ministri subito dopo le ferie estive, così da accogliere una richiesta che arriva dal mondo dei professionisti».

Il testo in Consiglio dei ministri prevedeva due formulazioni: in una il limite alla responsabilità penale era relativo alla colpa grave, in ogni circostanza; nell’altra limitatamente a una attività sanitaria «di speciale difficoltà».

In entrambi i casi si prevede l’esclusione della responsabilità quando vengono seguite le raccomandazioni di linee guida o le buone pratiche clinico assistenziali, purché adatte allo specifico caso clinico.

E si raccomanda di tenere conto della scarsità delle risorse umane e materiali disponibili, nonché di eventuali carenze organizzative, intervenendo anche a modificare alcuni commi della legge 24/2017 (Gelli-Bianco) sulla responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie.

In Consiglio dei ministri, con l’intervento anche del Guardasigilli Carlo Nordio, il primo scoglio è stata la definizione di colpa grave. E l’accordo pare sia mancato anche sulla definizione delle attività «di speciale difficoltà». Di qui la decisione del presidente del Consiglio Giorgia Meloni di approfondire ancora la riflessione su una materia che tocca temi di carattere costituzionale.

Sull’intero provvedimento, per come è circolato finora in bozza, esprime un giudizio duplice la segretaria generale di Cittadinanzattiva, Anna Lisa Mandorino: «Nel ddl Schillaci ci pare importante il tema della “desertificazione dei servizi sanitari” in aree interne o disagiate dove l’offerta è particolarmente carente. Intervenire in favore degli operatori sanitari che sceglie queste aree dove esercitare la propria professione ci sembra interessante».

Così come anche «i meccanismi premiali collegati alle liste d’attesa. Apprezziamo anche la valorizzazione della medicina generale attraverso una Scuola di specializzazione che abbia le stesse condizioni delle altre, mentre ora le borse di studio regionali valgono circa la metà delle altre specialità».

Diverso il tema dello scudo penale: «Cerchiamo da sempre di avere – puntualizza Mandorino – un giudizio equilibrato. Da una parte le liti temerarie e immotivate non sono auspicabili in un rapporto tra medico e cittadino che dovrebbe essere improntato alla fiducia e all’umanizzazione. D’altra parte deve essere difesa la possibilità da parte dei cittadini di ricorrere a una giustizia giusta nei casi in cui ci siano errori conclamati e chiari. Da questo punto di vista sentiamo l’esigenza di una norma che non sia provvisoria, come quella utilizzata attualmente. Siamo preoccupati invece dal tema della “scarsità di risorse umane e materiali” e delle “carenze organizzative” nell’accertamento delle colpe gravi. Se questo tema poteva avere un suo senso in epoca di pandemia, ora bisognerebbe agire per rimuovere queste condizioni e non proteggere chi in queste condizioni compia un errore».

In definitiva, osserva Mandorino, «sarà importante che il testo sia chiaro e non lasci spazio ad ambiguità per evitare giudizi temerari ma tutelando i diritti dei cittadini in caso di effettivo errore».