Chiamare tutto “endometriosi” è come battezzare “quadretto” sia lo scarabocchio sul muro sia la Gioconda. Chiamare “endometriosi” tutte le condizioni in cui frammenti di rivestimento uterino finiscono fuori sede è un errore dello stesso genere: dietro quella parola si nascondono malattie profondamente diverse per sintomi, prognosi e impatto sulla vita delle donne.
Quando il tessuto perde la bussola
Il punto in comune è la “disobbedienza” di cellule che non rispettano i confini, si insinuano nei tessuti vicini, si procurano nutrimento creando nuovi vasi sanguigni e, a volte, generano fibre nervose che alimentano un dolore continuo. Alcune forme restano silenziose per anni, altre bloccano un rene o compromettono la fertilità; in rari casi, dopo un lungo percorso, possono aprire la strada a tumori ovarici. La somiglianza biologica con il cancro esiste, ma la potenza di fuoco è diversa: dove il tumore sfonda tutte le porte contemporaneamente, l’endometriosi sceglie quali serrature provare e con quanta forza.
Dalla clinica al DNA: la nuova mappa
Per orientarsi in questo labirinto serve una cartina in alta definizione. È l’obiettivo di un network internazionale che riunisce la Sbarro Health Research Organization (SHRO), guidata dall’oncologo molecolare Prof. Antonio Giordano, il Professore Ordinario di Ginecologia Alfredo Ercoli in Italia, il Dottor Canio Martinelli responsabile della ricerca traslazionale a Philadelphia e il dottor Andrea Vidali alla guida del Endometriosis Surgical Specialist International (ESSI) a New York. Il progetto, ora in fase di strutturazione, punta a integrare genomica, trascrittomica e proteomica con i dati clinici di pazienti reclutate in più centri: una banca di informazioni che permetterà di riconoscere le varie “forme” di endometriosi e di assegnare a ciascuna la cura più adatta.
Cosa cambierà per le pazienti
Quando conosciamo l’identità biologica di una lesione, per esempio se dipende da vie di segnalazione cellulare che favoriscono la formazione di vasi o da alterazioni metaboliche, possiamo prevederne il comportamento, personalizzare la chirurgia e, soprattutto, uscire dal binomio “intervento o terapia ormonale”. Molecole ripescate dall’oncologia, dagli anti-angiogenetici agli inibitori di mTOR, potrebbero domare le forme più aggressive; al contrario, nuovi farmaci testati per l’endometriosi aiuteranno a capire i primi passi della trasformazione tumorale. È un ponte a doppio senso fra ginecologia e cancro che arricchisce entrambe le sponde.
Coltivare competenze ibride
La sfida non è solo scientifica. Il progetto prevede la nascita di una scuola internazionale per “physician-scientists” dell’endometriosi, medici capaci di decifrare un profilo genetico e tradurlo in scelte cliniche. Formare queste figure significa ridurre l’attuale ritardo diagnostic, oggi servono ancora sette-nove anni fra i primi sintomi e la diagnosi, e preparare il terreno a studi clinici mirati.
Verso un nuovo lessico di cura
Parlare di “endometriosi” al singolare diventerà presto anacronistico quanto dire “tumore” senza specificare il tipo di mutazione. Dare nomi diversi alle varianti biologiche della malattia non è un vezzo da accademici: significa prescrivere farmaci mirati, evitare interventi inutili e restituire qualità di vita più rapidamente. In altre parole, cambiare il linguaggio cambierà la terapia.
Uno sguardo avanti
Finanziamenti, alleanze pubblico-privato e un pizzico di coraggio saranno decisivi per passare dalla teoria alla pratica. Ma la traiettoria è chiara: decifrare l’universo endometriosico guardando al DNA, all’RNA e alle proteine permetterà di trasformare un termine generico in una costellazione di diagnosi precise e, finalmente, di terapie su misura.
In questo viaggio la ricerca molecolare non è un optional futuristico: è la bussola che può guidare ginecologi, chirurghi e pazienti fuori dal labirinto di un’unica etichetta, verso cure più mirate e meno sofferenza.