Un uomo, due donne, una figlia: una famiglia stramba e rispettata fa capolino in “Dove cadono le comete”, romanzo di Vito di Battista che brilla di purezza e profondità, scritto in un italiano intessuto da una radice dialettale abruzzese. Una prosa scolpita nel tempo, che si nutre anche della voce dei morti, tra la vita in bilico e gli astri che portano scompiglio e illuminano la trama del destino…

Un viaggio nel tempo, nell’Italia più autentica e lacerata degli anni della Seconda Guerra Mondiale: un Paese fatto di uomini sghembi e donne resistenti, anime in bilico tra la fede e la fatica, con in tasca “la bugia di un rosario” e un fazzolo a coprire la vergogna. Dove cadono le comete (368 pagine, 19 euro) di Vito di Batista è un romanzo splendidamente italiano, innervato di parole antiche e sentimenti salmastri e tempestosi come il mare, che ne accompagna il respiro.

…non importa se una storia prima o poi si scorda un poco, alla fine arriva sempre qualcuno a reinventarla

Una storia epica e corale

Vito di Battista, autore raffinato e poliedrico, dopo Il buon uso della distanza (qui l’articolo) torna con un’opera d’impronta epica e corale, che affonda le radici in un tempo fatto di sangue e silenzi, di anime erranti e passioni incagliate.
In questo nuovo romanzo, l’autore ci apre le porte del suo paese, San Vito Chietino, un piccolo borgo abruzzese sospeso nel tempo dove tutti campano di una povertà comune, dove trabocchi silenziosi sfidano il mare, e una chiesetta testarda si contende il cielo a colpi di scampanate, un piccolo fazzoletto d’Italia che diventa teatro di una memoria collettiva da ritessere parola dopo parola.

E INSOMMA
Questo è il paese nostro, così tanta gente stipata in così poco spazio, così tante ipoteche e così pochi soldi per comprarci la roba…

A calcare con passo greve i sentieri pietrosi di questo racconto, è un’epopea umana in cui le leggende si sgretolano e si ricompongono al passaggio fugace di comete: astri erranti che arrivano, spariscono e poi riappaiono quando meno te lo aspetti — e nel farlo, spostano tutto, ribaltano le memorie, e trasformano ogni cosa in un’altra storia ancora, come se il destino avesse bisogno di essere raccontato di nuovo, ogni volta da capo.

Vite vissute e vite sprecate

Il narrato è un concerto di voci, che si rincorrono e si attraversano nel tempo e nello spazio, dal 1938 al 1970, risuonando di storie presenti e trapassate, di vite vissute e vite sprecate. Ne nasce una sinfonia densa di orgoglio e pudore, di gesti antichi e sentimenti ruvidi, cuciti addosso come un’eredità che pulsa ancora sotto pelle.

C’è una tenerezza antica nello sguardo di Vito di Battista, che accarezza la pagina con la stessa malinconia con cui si osserva la propria storia, quando diventa quasi leggenda.

Emma, Olimpo e Anita sono la famiglia più stramba e più rispettata del paese: una balia, barattata per un ettaro di terra, una moglie dimezzata dalla sorte e un uomo giusto dal cuore sfilacciato. Insieme camminano sull’orlo delle malelingue e della miseria, tra le crepe della guerra, le fughe obbligate e le morti non dette, come soldati senza divisa che ogni giorno resistono — con tenacia e senza clamore.
A tenerli insieme, come un filo invisibile che stringe senza soffocare, c’è Bianca: figlia di Anita, ma figlia dell’anima di Emma, l’unica che chiama madre. Perché a volte l’amore ha l’odore della pelle che ti ha stretto per prima, e la voce di chi ha saputo restare.

Memoria familiare e dimensione soprannaturale

Ma non vi ho ancora detto la cosa più sorprendente: questo romanzo, edito da Feltrinelli, brilla di una purezza rara e di una profondità che disarma. Quella che potrebbe sembrare, a prima vista, una semplice saga familiare, sotto la penna di Vito di Battista si trasfigura in qualcosa di magico.
Vito di Battista intesse la narrazione con pietre preziose, scovate nel baule della memoria familiare, riportando in vita quella dimensione soprannaturale che un tempo abitava con naturalezza accanto ai nostri antenati — fatta di filastrocche sussurrate, nenie per quietare i neonati, superstizioni che erano verità camuffate.
In queste pagine, la voce dei morti non tace: canta, consiglia, ritorna e si fa voce narrante. E lo fa con una familiarità ancestrale, come se la linea sottile tra i vivi e i trapassati non fosse mai stata davvero tracciata.

Non sa che Bianca sente altre voci ancora […] non sa che nella testa sua vivi e morti abbandonano nomi e facce per farsi una storia sola, ed è questo, nell’ignoranza del tempo che per lei non passa, nella musica sbiadita di un’epoca antica e di chi adesso le carezza la schiena, è proprio questo che la fa sorridere tranquilla.

La guerra, nota stonata in una sinfonia già rotta

Ai margini del mondo, là dove ogni giorno è una prova di resistenza, la guerra non arriva come tuono improvviso, ma come una nota stonata in una sinfonia già rotta. È un’ombra che si appiccica alla pelle, un incubo che ci si scrolla via al primo chiarore, mentre la gente, con gli occhi bassi e la schiena curva, si domanda cos’altro dovrà sopportare. Nessuno sa cosa aspettarsi, ma tutti aspettano, in un silenzio muto e rassegnato, come bestie abituate al colpo. Intanto, il paese cambia odore — un tanfo estraneo si infiltra nell’aria, nei vestiti, nelle grida che si lanciano da una finestra all’altra. Un odore di paura importata, che mette tutti in allerta.
La guerra arriva infame, con le sue facce squadrate e gli occhi sbiaditi, e non passa molto prima che Olimpo scelga di farsi rete e voce per quelli nascosti sui monti. Non per eroismo, ma per necessità. Perché quella, tra tutte, è la scelta che fa meno male agli altri. Ed è per questo, forse, che è la più giusta.

La Resistenza non proclamata, ma vissuta

La Resistenza, qui, non si proclama: si vive. Non chiede medaglie. Vibra nei corpi nascosti tra le grotte, nei passi silenziosi, nei gesti minimi. È fatta di fame e sussurri, di paura e dignità. Non è un atto politico, ma un obbligo morale, un’urgenza del cuore. Nessuna retorica: solo la dignità della memoria.
E questo, e quello, insomma…
La vita torna in bilico e le comete riappaiono portando scompiglio e riallacciano fili disciolti nelle pieghe dell’indifferenza, portando alla luce la trama del destino, nudo, indifeso, a cercare un appiglio che non si trova più. È così che si approda agli anni Settanta, quando nuove storie emergono dal fondo della memoria, si intrecciano a quelle antiche e si stringono l’una all’altra, come a non voler più andare via.
Con una voce magnetica e intensa, Dove cadono le comete incanta chi lo legge.

Il linguaggio di Vito di Battista (qui un suo articolo) nasce da una radice dialettale abruzzese, ma si innerva di un linguaggio italico antichissimo e potente, capace di trascinare il lettore in un mondo che riconosce, che fa parte di tutti noi, da sempre e per sempre.

Quella prosa poetica, vibrante, parla direttamente alla nostra memoria storica e alle radici dell’essere umani, come se ogni frase fosse scolpita nel tempo.

Magistrale.

Appiccicata alla pelle tutta tiene la nostalgia per una storia che esiste ancora, ma è già morta, e quella storia è la vita sua intera.

Seguici su FacebookTwitterInstagramTelegramWhatsAppThreads e YouTube. Grazie

Correlati