Da alcuni anni il governo ungherese sta ristrutturando, e in parte ricostruendo, il complesso del castello di Buda, l’ex palazzo reale di Budapest. I lavori sono iniziati nel 2019 e vari esperti li hanno contestati, ritenendoli storicamente inaccurati e schiacciati sugli obiettivi politici del primo ministro sovranista Viktor Orbán, che vuole trasferire lì le sedi di alcuni ministeri, peraltro sacrificando gli spazi pubblici del castello.

Quello di Buda è un caso limite per più ragioni, raccontate recentemente da Bloomberg. Però ha qualcosa in comune con altri, anche precedenti, in Europa: viene motivato con la volontà di riportare all’antico splendore un sito storico, collocando quello splendore in un preciso periodo a discapito di altri. È rilevante in un momento in cui sono soprattutto i movimenti conservatori e di estrema destra a professarsi difensori del passato nazionale, da loro letto in chiave revisionista e strumentalizzato.

Robert Bevan, che ha scritto l’articolo di Bloomberg e un libro su questi temi, distingue i progetti nei paesi dell’ex blocco sovietico da quelli propugnati oggi dall’estrema destra per sdoganare i propri messaggi reazionari, come fa Orbán. I primi sono più distanti nel tempo e partivano dalla necessità di ricostruire dopo la Seconda guerra mondiale. Negli anni successivi al 1989, con la dissoluzione dell’URSS, si sono connotati sul recupero della storia nazionale in opposizione al periodo dei regimi comunisti.

I secondi sono più recenti. L’esaltazione del passato, anche architettonico, è funzionale a una narrazione che rigetta il presente, multietnico, dei paesi europei e occidentali, e predica un ritorno alle presunte radici. Bevan racconta che, per esempio, in diversi paesi del Nord Europa i gruppi di estrema destra invocano un’«insurrezione architettonica» per restaurare quello che secondo loro è il canone, di solito collocato in età imperiali, per farne un parallelismo col presunto declino della società e dei cosiddetti valori tradizionali.

Viktor Orbán col primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu durante una cerimonia al castello di Buda, lo scorso 3 aprile

Viktor Orbán col primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu durante una cerimonia al castello di Buda, lo scorso 3 aprile (AP Photo/Denes Erdos)

I progetti del primo tipo hanno avuto un precedente importante: la ricostruzione della città vecchia di Varsavia, in Polonia, negli anni Cinquanta. L’autore anglo-polacco Marek Kohn spiega che «cambiò i termini del dibattito sulla ricostruzione». Si decise infatti di «replicare» il quartiere che i nazisti avevano raso al suolo durante la Seconda guerra mondiale, invece di progettarne uno nuovo. «Fu un’eccezione fatta in circostanze eccezionali, ma da lì in poi è diventata una specie di nuova ortodossia».

Kohn ha scritto un saggio su quelle che la rivista specializzata Apollo ha definito le città europee «ricostruite come se il ventesimo secolo non fosse mai trascorso». Si trovano soprattutto nell’Europa centrale e orientale. Nei decenni i loro centri storici sono stati riedificati “saltando” il Novecento, cioè operando una selezione che ha scartato gli edifici costruiti ai tempi del nazismo (dai regimi alleati della Germania o durante l’occupazione) e ha demolito, o smesso di mantenere, quelli di epoca comunista.

La città vecchia di Varsavia, in una foto del giugno del 2018

La città vecchia di Varsavia, in una foto del giugno del 2018 (Brian Dowling/Getty Images)

Kohn fa l’esempio di Breslavia, nell’odierna Polonia, che fece parte prima della Prussia e poi della Germania fino al 1945. Nel dopoguerra diversi palazzi furono abbattuti perché associati al passato tedesco rinnegato, nonostante fossero contemporanei e dunque stilisticamente molto simili a quelli che negli stessi anni venivano ricostruiti a Varsavia. I telai di alcune finestre furono addirittura portati nella capitale e installati nella nuova città vecchia.

«Le storie che le città vecchie, o le città nuove, sono fatte per raccontare non sono mai l’intera storia», conclude Kohn. Cita un caso meno lontano nel tempo: il Palazzo Sassone, sempre a Varsavia. Fu sede dello stato maggiore dopo la Prima guerra mondiale ed è al centro di un grandioso progetto voluto nel 2021 dai governi sovranisti di Diritto e Giustizia «per dare un’immagine positiva» della Polonia tra le due guerre, in contrapposizione a quella successiva comunista.

Un altro esempio è il Palazzo dei Granduchi di Lituania, a Vilnius. Era stato demolito a inizio Ottocento perché ormai inutilizzato, ma a partire dal 2002 è stato ricostruito perché eletto a simbolo del paese baltico dopo l’indipendenza dall’Unione Sovietica. Peraltro le fonti scarseggiavano: c’erano solo dipinti delle rovine di epoca Romantica – a differenza della città vecchia di Varsavia, che fu ricostruita basandosi sulle vedute del nipote di Canaletto.

Il Palazzo dei Granduchi di Lituania, illuminato, in una foto di Vilnius del dicembre del 2018

Il Palazzo dei Granduchi di Lituania, illuminato, in una foto di Vilnius del dicembre del 2018 (AP Photo/Mindaugas Kulbis)

L’architettura che Kohn chiama «pseudo tradizionale», insomma, esisteva già: era legata all’identità nazionale, o a ciò che i vari governi hanno identificato come tale. Negli ultimi anni però – e questo è lo sviluppo nuovo – è stata trascinata sempre di più nelle guerre culturali e i movimenti conservatori ne hanno fatto un loro feticcio. Celebrare gli stili del passato, od opporsi a progetti di modernizzazione è strumentale a sostenere che tutto il passato fosse migliore.

I movimenti si sono appoggiati spesso alle teorie del filosofo conservatore britannico Roger Scruton, di cui Orbán è un fan dichiarato (a Budapest c’è una catena di caffè intitolata a lui) e che è stato citato spesso anche da Giorgia Meloni. Scruton è morto nel 2020 e dal 2018 guidò per conto dei governi dei Conservatori un’inconcludente commissione per rivedere i regolamenti edilizi con lo slogan Building Better, Building Beautiful, cioè per improntarli alla «bellezza». Il conservatorismo estetico di Scruton aveva un’impronta nazionalista, e glorificava la vita in campagna per criticare i presunti eccessi nella società moderna.

Una commemorazione di AfD a Dresda, nel 2017

Una commemorazione di AfD a Dresda, nel 2017 (AP Photo/Jens Meyer)

Questa dinamica dell’estrema destra che fa un uso distorto del passato è molto visibile in Germania, dove per anni movimenti come PEGIDA tentarono di manipolare e intestarsi la memoria dei devastanti bombardamenti Alleati su Dresda. Alternative für Deutschland (AfD), che ha raccolto molte delle loro istanze, ha usato una tattica simile e altrettanto revisionista, anche se più accorta, sempre per propalare una retorica nativista (che teorizza cioè la supremazia dell’etnia prevalente di uno stato e discrimina gli altri gruppi etnici, soprattutto di recente immigrazione). AfD non è sempre riuscita, però, a non sconfinare nell’apologia: in vista delle prossime elezioni statali se l’è presa col movimento Bauhaus, che i nazisti considerarono «arte degenerata», bollandolo come «non tedesco».

L'ordine esecutivo riproposto da Trump all'inizio del secondo mandato (dal sito della Casa Bianca)

L’ordine esecutivo riproposto da Trump all’inizio del secondo mandato (dal sito della Casa Bianca)

«È quasi una negazione del periodo hitleriano», spiega Bevan. Secondo il critico, che fa parte dell’ICOMOS (un organo consultivo dell’UNESCO), nei discorsi dei gruppi conservatori e di estrema destra ricorre la parola “bellezza”. Con una valenza stravolta: come «messaggio in codice per i tradizionalisti», per convogliare la tesi che la civiltà occidentale vada protetta in quanto superiore alle altre. In questo senso, il passato viene manipolato per escludere categorie di persone, come le minoranze etniche.

Bevan conclude ricordando che, nei primi giorni del secondo mandato, il presidente statunitense Donald Trump ha riproposto un ordine esecutivo del 2020 che stabilisce di dare la priorità all’«architettura classica» nei progetti per i nuovi edifici federali, nonostante non sia necessariamente lo stile più congeniale alle loro funzioni.

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