Sistema sanitario pubblico, privato accreditato, evoluzione della domanda, problemi e strategie possibili in Emilia-Romagna. L’analisi di Tiziano Carradori, direttore generale dell’Ausl Romagna che intuì, dieci anni fa, la potenzialità di unire diverse aziende sanitarie.
Direttore, per la sanità pubblica dell’Emilia-Romagna sono anni complessi, tra budget e necessità di restare un’eccellenza.
“Da un lato abbiamo bisogni crescenti dovuti dalla struttura demografica della nostra regione e i costi di produzione dei servizi che hanno ritmi superiori a quelli dell’inflazione, quindi il finanziamento della sanità che aumenta a un ritmo pari alla metà dell’inflazione”.
Come se ne esce?
“Dipende dalla risposta che vogliamo dare alla domanda su quali servizi dare alla popolazione: in risposta ai bisogni o in funzione dei soldi che vogliamo destinare al sistema? Personalmente ritengo che la salute della popolazione sia un elemento fondamentale per la libertà di quella popolazione: è un diritto costituzionalmente sancito che deve essere tutelato. Quindi do una priorità ai bisogni ai quali dovrò poi commisurare le risorse. Il nostro sistema è sottofinanziato e sono 15 anni che a questa domanda non si risponde adeguatamente”.
L’Ausl Romagna è entrata in funzione nel gennaio 2014, quali vantaggi ha portato?
“Si sono fuse quattro aziende e allora non c’era certezza della giustezza del percorso. Sono tornato dopo dieci anni e posso dire che i pazienti si fermano in ambito romagnolo e non emigrano, il costo amministrativo della sanità, procapite, è del 46% inferiore a quello medio regionale e il costo sanitario procapite (dato 2023) è di 70 euro, anche questo inferiore alle media regionale. Naturalmente non è che mancano i problemi”.
Lei conosce bene altri sistemi sanitari pubblici, europei e non. Come si collocata la nostra regione in questa classifica?
“Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto e Toscana non hanno nulla da invidiare ad altri sistemi sanitari di grande eccellenza. Il problema è che le regioni del sud sono abbandonate”.
Il punto di forza della sanità regionale e quello di debolezza.
“La forza è che il paniere di servizio sanitari dell’Emilia-Romagna è il più largo di tutta l’Italia. La debolezza è che la nostra gente vuole servizio di alta qualità. Purtroppo negli ultimi dieci anni questi servizi non sono migliorati”.
Il sistema sanitario regionale, da anni vede collaborare pubblico e privato. Secondo lei c’è qualcosa da cambiare?
“Il sistema pubblico che abbiamo io lo definisco ’sistema pubblico allargato’: al servizio sanitario concorrono produttori pubblici e produttori privati accreditati. E indietro non si può tornare. Ma una valutazione su questo rapporto pubblico-privato, a mio parere, va fatta e non per metterlo in discussione, ma perché tale rapporto è ancorato al piano sanitario del 1999. È passato un quarto di secolo…”.
Approfondisci:
L’Emilia Romagna tira diritto: niente ristori Covid alle cliniche private
A questo proposito, in Regione, è in atto uno scontro piuttosto duro tra la sanità pubblica e quella privata. Se ne viene fuori?
“Bisogna venirne fuori se abbiamo a cuore la salute dei cittadini e degli interessi che pubblico e privato rappresentano. Condivido il percorso attivato dalla Regione sulla delibera (sugli indennizzi Covid per la quale viale Aldo Moro ha avviato il procedimento di annullamento, ndr). Ma penso che il pubblico e il privato di questa regione debbano muoversi in alleanza, ad esempio nei confronti della richiesta del ministero dell’Economia e delle finanze di mettere un tetto alle strutture private per i ricoveri di residenti in altre regioni. Si deve studiare una strategia condivisa”.