ALPAGO. È scoppiata in Friuli Venezia Giulia a inizio luglio e da circa venti giorni sta preoccupando anche gli allevatori bellunesi: l’epidemia di Blue Tongue ha ora un “colpevole”, il sierotipo 8 del virus del genere Orbivirus.

 

La campagna vaccinale è quindi avviata: l’Ulss 1 Dolomiti ha ordinato 650 dosi di vaccino, in arrivo domani mattina. “I piccoli allevatori dell’Alpago hanno già iniziato a chiamare e noi li sosterremo. La vaccinazione è comunque consigliata su tutta la provincia, quindi si può acquistare il vaccino anche da altre zone” afferma Sandro Cinquetti, direttore del dipartimento prevenzione.

 

Il problema principale, in questa fase, è infatti nella composizione degli allevamenti sul territorio. In Alpago ci sono circa 4.000 capi di ovicaprini e circa 90 allevamenti: la maggioranza è quindi costituita da realtà molto piccole e questo rende difficile agli allevatori, che magari possiedono 10-20 esemplari, acquistare vaccini venduti a unità di 100 dosi. Per questo l’Ulss è intervenuta con acquisti massicci, cui i piccoli allevatori possono fare riferimento. Da ieri, infatti, è attiva l’unità di crisi con numeri dedicati cui è possibile rivolgersi sia per informazioni sia per la campagna vaccinale.

 

“Nel 2016 – spiega Gianluigi Zanola, direttore dei servizi veterinari – c’è stata una prima invasione del virus ma con un sierotipo diverso che, pur spaventando molto, aveva lasciato un numero inferiore di decessi. Stavolta il sierotipo è più aggressivo, tuttavia la cosa positiva è che da un paio d’anni la diffusione della malattia è considerata non più esotica ma endemica. Si tratta di una distinzione importante perché impone restrizioni meno pesanti, ad esempio gli animali possono andare al macello, ma se si trovano in un allevamento infetto non possono essere venduti ad altre aziende”.

 

In realtà l’epidemia non colpisce solo Friuli e Alpago, ma sta interessando anche diverse zone italiane, dal Piemonte al centro Italia. Il virus circola quindi ormai da diversi anni, motivo per cui la malattia è diventata appunto endemica. Purtroppo, però, esistendo 27 sierotipi diversi è difficile stabilire una strategia a lungo termine in quanto non esiste un vaccino che li copre tutti. Impossibile inoltre stabilire l’impatto che avrà il virus nel momento in cui entra in un allevamento, perché si comporta in maniera diversa all’interno di uno stesso gregge, con un tasso di mortalità che varia dall’1 al 10%. Certi allevamenti hanno infatti avuto uno o due esemplari deceduti, mentre altri sono già a quota 40.

 

Ad oggi, comunque, i focolai totali (cioè gli allevamenti in cui è stata diagnosticata la malattia) sono sempre 14, di cui due di yak. “Mentre i bovini possono infettarsi, ma raramente manifestano sintomi – spiega Zanola – negli yak, bovidi molto sensibili, abbiamo scoperto che la malattia è abbastanza impattante. Trattandosi di due soli allevamenti in provincia (Alpago e Monte Rite), le conseguenze a livello economico non sono fortunatamente elevate, a differenza di quanto accade invece per gli ovini in Alpago, con la razza alpagota vicina all’estinzione. Per questo gli allevatori sono stati subito edotti sulla necessità di applicare immediatamente prodotti insetto repellenti sugli animali, in attesa della strategia vincente, cioè la vaccinazione”.