Date le ottime premesse mancano dei raccordi in grado di bilanciare le aspirazioni ideali dell’opera con il suo sviluppo narrativo più improntato a dinamiche di genere. LOCARNO78. Concorso
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Croazia, inizi del Novecento. Una sera d’estate, una donna, vestita di nero, arriva in un villaggio di pastori alle pendici di una montagna. Trova davanti a sé una comunità isolata che vive secondo rigidi principi. Si presenta come la vedova di un loro fratello emigrato, Marko. La donna riesce a stento a farsi capire ma le viene comunque concesso di rimanere a lavorare all’interno della comunità. Col tempo, però, la sua presenza comincia a farsi sempre più invadente e a provocare forti tensioni tra i membri della comunità. Eppure, il disordine creato da Teresa, questo il nome della protagonista, potrebbe diventare una fonte d’ispirazione per le altre donne presenti nel villaggio.
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Hana Jušić, regista croata che nel 2016 aveva portato alle Giornate degli Autori il suo precedente Quit Staring at My Plate, arriva quest’anno a Locarno78 con il suo secondo lungometraggio, presentato in Concorso Internazionale. Un film che sviluppa un lungo ed estenuante conflitto interiore, declinato al femminile, e che si riflette visivamente nel rapporto tra una comunità di pastori e il territorio selvaggio e inospitale in cui essi vivono. Come i pastori, infatti, anche la protagonista cerca di addomesticare la (sua) natura più selvaggia, appellandosi al proprio senso di colpa e a una cieca devozione alla preghiera ma, come ci suggerisce anche il titolo del film, “Dio non aiuterà”.
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Jušić lavora sui contrasti, raffigura un mondo contadino che ormai non c’è più. Un mondo aspro e complicato, dove vige la legge del più forte e che formato da piccole comunità governate da “uno spasmodico desiderio di appartenenza e di possesso”, per rubare le parole alla regista. Il suo film racconta, infatti, l’inatteso scardinamento di questo rigido sistema normativo. In questo senso, la regista cerca di restituire una tensione crescente (sconfinando quasi nel thriller), destinata prima o poi ad esplodere, lavorando su due assi che si incroceranno: da una parte abbiamo i sogni di Teresa, le seducenti visioni oniriche e il caos interiore che la donna cerca di soffocare in tutti i modi. Dall’altra, l’entropia della donna, il suo senso di colpa verso un peccato del passato troppo grande per essere confessato, sono destinati a travolgere nei fatti le dinamiche consolidate di una comunità governata da un sistema rigidamente patriarcale. Ed è proprio il vertice di questa comunità, “il capo del villaggio” a subire maggiormente il fascino di questa forza aliena, portatrice di caos. Date queste interessanti premesse, però, lascia più freddi la gestione di modi e tempi con cui la regista sviluppa questi contrasti, facendosi ingolosire da un simbolismo fin troppo telefonato e una dilatazione dei tempi che stona con il generale tono dell’opera. La sensazione è che manchino proprio dei raccordi in grado di bilanciare le aspirazioni ideali dell’opera con il suo sviluppo narrativo più improntato a dinamiche di genere.
La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
Il voto dei lettori
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