Il suo personaggio lo definisce «un’eroina ma non alla Marlon Brando» e mentre è lì con giornalisti e fotografi nella calda mattinata locarnese sogna di farsi un bagno ghiacciato. Emma Thompson è al Festival di Locarno con il suo nuovo film, diretto da Brian Kirk, The Dead of Winter, ieri la Piazza era gremita per applaudire l’attrice che ha ricevuto il Leopard Club Award. Ma l’evento del fine settimana locarnese è stata senz’altro l’anteprima nel concorso internazionale di Mektoub My Love: Canto Due, il film «maledetto» di Abdellatif Kechiche, il regista francese, nato in Tunisia, cresciuto con André Techiné, rivelato da L’Esquive (2003) e La faute à Voltaire (2000), che si afferma con Cous cous (2007) e La vie d’Adèle – Palma d’oro a Cannes nel 2013. Anche se il successo di questo film coincide con l’inizio di molte polemiche e controversie intorno alla sua figura, le protagoniste, Léa Seydoux e Adèle Exarchopoulus lo accuseranno di usare metodi violenti sul set, a questo seguono altre critiche e Kechiche scompare. Torna nel 2017 con Mektoub My Love: Canto uno, in concorso alla Mostra di Venezia, che doveva essere il primo capitolo di un progetto più ampio dal romanzo di François Bégadeau, La blessure, la vrai, adorato da molta cinefilia internazionale. La sfida era quella di cogliere la materia della vita seguendo l’estate a Sète, di un gruppo di amici e amiche cresciuti insieme, fra amori, tradimenti, danze e chiacchiere in spiaggia, segreti famigliari e promesse mancate, matrimoni futuri di cui Kechiche affida il movimento a una serie di attori fra cui Ophèlie Bau e Hafsia Herzi. L’io narrante è quello di Amin (Shain Boumedine), che ha lasciato Sète per studiare cinema a Parigi ed è tornato per il periodo estivo. Studente in medicina, poi abbandonata per la fotografia e il cinema, scrittura e riprese, Amin – che suggerisce una corrispondenza con lo stesso Kechiche – è colui che osserva questa vita per prendere appunti, lo faceva sin da bambino, e trasformarla in un racconto o un film. Difficile scuoterlo anche se corteggiato perché è bello e riservato, all’opposto del cugino Tony il tipico maschio di provincia che rimorchia e scappa, e di tutti gli altri. È quello che è nella grande città, e ha lasciato quel quotidiano un po’ soffocante di lavoro fra i tavoli del ristorante famigliare o come Ophèlie alla fattoria paterna.

Emma Thompson a Locarno, foto Ansa

MENTRE LAVORA su Canto Due, Kechiche realizza Intermezzo (2019), una notte in discoteca dello stesso gruppo con qualche variazione girato come un reality che sarà una catastrofe. Il film presentato in concorso a Cannes, è accolto male, non uscirà mai in sala anche per un problema di diritti musicali – la versione remix techno di Voulez Vous degli Abba – che nessuno riesce a pagare. La società di Kechiche fallisce, Ophèlie Bau accusa il regista di avere montato scene di sesso senza il suo consenso e fugge, intorno al film crescono storie di altre tirannie, le produzioni si dileguano mentre Canto Due si ferma. Ci sono voluti altri sei anni, e il lavoro del montatore, Luc Seugé – coadiuvato da molti assistenti – a confronto con centinaia di ore di girato, oltre all’arrivo di nuovi produttori – con una coproduzione anche italiana – perché venisse infine terminato, superando anche le fragili condizioni di salute dell’autore che il marzo scorso ha avuto un ictus. Che film è allora questo Canto Due?

LI RITROVIAMO tutti gli amici a Sète in quell’estate del 1994, ma è settembre e già questo permea di malinconia, c’è il sole, si va in spiaggia, ci si continua a divertire però è come se tutto fosse ormai già accaduto e quello che si srotola davanti ne sono le conseguenze più o meno felici. Ophèlie (Bau) è incinta di Tony e ha deciso di abortire, lui del resto è sempre più sfuggente e incapace di assumersi alcuna responsabilità, il matrimonio della ragazza si avvicina, ci sono già gli inviti alla festa – diciamo nessuno dei personaggi maschili è simpaticissimo compreso Amin con quel suo essere sempre sul bordo, la posizione dello scrittore che non interferisce più di tanto con le aspirazioni dei suoi personaggi. È una mise en abyme? Chissà.

Gli anni Novanta e gli amici di Sète, la coppia americana, i segni del tempo

Ci sono poi gli imprevisti a quelle lunghe giornate scandite da molti silenzi e non detti. Come quella coppia di americani, lui produttore e regista vecchio (Andre Jacobs) lei, Jessica (Jessica Pennington) la moglie giovane star popolarissima di sit com che esprimono quell’arroganza di Hollywood tipica (ma tutti qui sono figure narrative molto precise, fino allo schematismo) verso il cinema d’autore europeo, e in genere verso chiunque pretendendo di avere diritti, lei per esempio perché famosa – e bulimica nella sua sgraziata infelicità – di mangiare quando il ristorante della famiglia di Amin è chiuso. Anzi di ingozzarsi succhiando gli spaghetti (come Adèle ma è solo una delle molte citazioni di sé che Kechiche dissemina) con sigaretta accesa e whisky. In cambio la famiglia ottiene che l’americano legga la sceneggiatura di Amin. Che adorerà proponendogli di farne un film a patto di cambiare finale, titolo ecc e di metterci la moglie che in realtà vuole lasciarlo e ha una relazione con Tony.

LO SCONTRO fra maschi, marito tradito e amante vira il tono del racconto in un lungo finale al burlesque intorno al fallo declinato come sesso o come pistola, col razzismo macho-violento della polizia francese e una improvvisa giravolta nella sitcom in un pronto soccorso sul modello di quelle che immaginiamo hanno reso Jessica famosa. Ci sono scene molto belle, per esempio il duetto fra Jessica e Tony sulla falsa riga di Toro scatenato De Niro/Pesci, in questo andamento punteggiato di ritorni quasi che il regista abbia voluto qui, nella melanconia di fine stagione, più che chiudere le vicende – che anzi rimangono aperte – ritornare su alcuni frammenti visivi dei suoi film: la danza del ventre, l i corpi in movimento, fino alla circolarità dello sguardo di Amin testimone dei tradimenti del cugino che fa sesso per tradire, il migliore amico nel Canto Uno è qui l’amico americano.

MUTANDO anche un po’ questi segni che sono i personaggi, fino a costringere il proprio io narrante all’azione, a entrare nel campo della vita. O con l’affermarsi di alcune figure femminili nel coro che fanno da contrappunto con la loro consapevolezza a quel maschile stupido, quali Ophelie – Bau sempre bravissima o la stessa Jessica che di fronte alla follia del marito davanti al tradimento, gli contrappone la razionalità del diritto e il confronto adulto della parola. Rispetto al flusso del Canto Uno le geometrie appaiono più perimetrate, o stemperate di moralismo come se quanto è accaduto intorno al film si intrecci all’universo dei personaggi nei suoi limiti o nell’esperienza – le osservazioni sui registi che hanno tante donne e fanno ciò che vogliono fatte da Jessica a Amin in uno dei loro primi incontri, fanno risuonare qualche eco autobiografica. Che comunque il tempo e la vita abbiano sovrimpresso alla pellicola la propria grana è inevitabile, e forse queste crepe sono la cosa migliore, le vie di fuga dei personaggi che in quel sentimento di un sogno che finisce riescono malgrado tutto a sfuggire a se stessi, al giudizio del loro autore, alla propria ineluttabilità.