di
Marta Serafini

Il presidente ucraino è in calo costante nei sondaggi. E gli sarebbe molto difficile far digerire una pace ingiusta a una popolazione giovane e nazionalista

«Zelensky non solo è angosciato dallo scenario di una pace decisa a porte chiuse senza l’Ucraina. Ma è anche sotto pressione per i tentativi russi di sfruttare la questione dell’anticorruzione». A parlare al Corriere in condizioni di anonimato è una fonte interna al governo ucraino.  

La prima preoccupazione è che Trump possa cercare una rapida risoluzione della guerra offrendo a Putin concessioni territoriali, legittimando l’annessione illegale della Crimea e l’occupazione di vaste parti dei quattro oblast di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia. Gli ultimi sondaggi indicano come la quota di ucraini disposta a cedere territori in cambio della pace sia salita (69% dal 52 dell’anno scorso, secondo Gallup) ma quasi nessuno (solo il 17% secondo un altro sondaggio del Kyiv International Institute of Sociology) è disposto a farlo senza garanzie in cambio, come ha dichiarato ieri lo stesso presidente ucraino.



















































«Questo è forse uno dei momenti più difficili dall’inizio della guerra», continua la fonte. Zelensky sa bene che migliaia di militari ma anche di civili dopo 10 anni di guerra nel Donbass non accetterebbero mai di vedere il sangue versato invano ma è consapevole anche della war fatigue cui gli ucraini sono sottoposti da ormai tre anni e mezzo dopo l’invasione russa. «Le recenti proteste di piazza provocate dal tentativo di accentrare ulteriormente il potere e di limitare quello delle agenzie anti corruzione potrebbero diventare solo un assaggio di una nuova Maidan», ci ha spiegato un militare non autorizzato a parlare tre settimane fa sul fronte di Sumy. Da mesi il battaglione Azov sta conducendo una campagna di reclutamento che nella propria narrazione include la vittoria a tutti i costi. Per dare l’idea del clima, uno degli spot messi in rete mostra il cliente di un meccanico lamentarsi perché ha il figlio al fronte e dire «beato tu che hai una femmina». La risposta? «Sì ma lei si è arruolata nell’Azov». E non c’è muro delle città ucraine che non sia coperto da gigantografie e manifesti che inneggiano agli «eroi» dell’assedio di Mariupol.

Riuscirà il comandante in capo, quello attorno a cui il Paese si è stretto, a far digerire una pace ingiusta a una popolazione giovane e nazionalista? D’altro canto la stanchezza dei giovani sottoposti al reclutamento forzato sta facendo aumentare la tensione nel Paese, alimentata anche dalla propaganda russa che cavalca il tema e che sta facendo dei raid dei centri della leva una vera e propria campagna. E nei giorni scorsi un’aggressione nell’oblast di Mykolaiv così come proteste a Vynnytsia non sono certo passate inosservate agli agenti dell’Sbu, la potente intelligence interna che tutto controlla.

I report di intelligence occidentale ribadiscono come gli obiettivi di guerra di Putin non si limitino al territorio. Il presidente russo è determinato a sostituire il governo ucraino democraticamente eletto con uno fantoccio filorusso, a ridurre le forze armate in modo che l’Ucraina non possa difendersi da future aggressioni, ad abolire la politica della porta aperta della Nato e a far modificare la costituzione ucraina in chiave neutrale. Fin qui l’esecutivo di Kiev ha allontanato da sé lo spettro di nuove elezioni, ribandendo quanto previsto dalla legge marziale: non si vota finché il Paese è in guerra. Ma mentre crescono le accuse di accentramento di potere a Zelensky e al suo capo di gabinetto Yermak, il gradimento nei confronti del presidente è sceso dal 65 al 58% in un solo mese.

Alla domanda se pensi che il tempo dell’ex comico diventato comandante in capo sia finito, lo storico ucraino Yaroslav Hrytsak al Corriere risponde come la maggior parte dei suoi connazionali: «È presto per dirlo. Ancora altra acqua deve passare sotto i ponti del Dnipro». E, insieme all’acqua, altro sangue. 

10 agosto 2025 ( modifica il 10 agosto 2025 | 07:03)