Bergamo. La sua eredità si compone di centinaia di migliaia di scatti, inestimabile fonte per ricostruire la storia del territorio bergamasco e le sue trasformazioni nel tempo. Il 10 agosto 1931, esattamente 94 anni fa, a Caravaggio nacque Pepi Merisio, uno dei fotografi italiani più apprezzati del Novecento.
Si avvicina alla fotografia per passione, ispirandosi alle fotografie del realismo americano che documentarono la società rurale durante la Grande Depressione. Vent’anni più tardi intuisce che anche in Italia qualcosa di profondo sta cambiando. I vecchi mestieri scompaiono: avanza la plastica, l’automobile, il consumismo. I suoi scatti diventano la testimonianza di un Paese in trasformazione.
“Mio padre era sempre parte di quello che fotografava – racconta il figlio, Luca Merisio -. Non era visto come un intruso, la gente era colpita dal suo lavoro. Di lui ho tanti ricordi, alcuni rappresentati anche dai suoi scatti alla Fara e nei pascoli dell’Alta Val Seriana”.
Dal 6 giugno nel Convento di San Francesco in Città Alta, negli spazi del Museo della Fotografia Sestini, è ospitata la mostra “Attraverso l’Italia. Fotografie di Pepi Merisio”. In esposizione 136 scatti: un’Italia in bianco e nero, attraversata da uomini e donne, paesaggi e tradizioni. Un omaggio a un maestro del Novecento e al suo modo unico di raccontare la nostra penisola.
La mostra
Tra gli insegnamenti forse più grandi lasciati dal maestro di Caravaggio la sua definizione di paesaggio: “Il risultato della vita di una comunità in un certo luogo nei secoli”. La sua è una fotografia contemplativa, lontana dalla celebre idea bressoniana dell’attimo decisivo. “In fotografia – diceva spesso – decisivo non è l’attimo, ma lo sguardo di chi sa cogliere l’irripetibile”.
Il ‘63 è l’anno della svolta: si conquista la copertina della rivista svizzera Du e inizia a collaborare con Epoca. “I lavori di Merisio sono segnati da una volontà documentaristica in un tempo universale – spiega Roberta Frigeni, direttrice del Museo delle Storie di Bergamo -. La sua geografia è tridimensionale, il paesaggio è reso alla terza: naturale, umano, antropizzato. Il filo rosso è la figura umana, sempre al centro dello scatto anche quando sembra non esserci”.
Nel ’64 pubblica il celebre reportage “Una giornata col Papa”: nasce così il lungo sodalizio con Paolo VI, con cui instaurerà un rapporto personale e duraturo. Inizia a collaborare anche con la Famiglia Cristiana e l’Osservatore Romano, documentando la vita del sacro con sguardo laico ma profondamente rispettoso.
Dai paesaggi della Val d’Aosta ai mestieri della Sicilia, Merisio ha attraversato l’Italia intera catturandola con i suoi obiettivi. “Ci ha lasciato un doppio patrimonio – sentenzia Frigeni -. Da un lato la sterminata documentazione archivistica, dall’altro la testimonianza di un linguaggio visivo unico. La sua è una fotografia documento, ma insieme preziosissima opera d’arte”.
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