di
Renato Franco
Il cantante di Abbronzatissima si confessa a tutto tondo: «La fedeltà è un’ipocrisia: ripetiamo continuamente che siamo liberi e io mi sono sempre sentito libero di frequentare chi volevo»
Edoardo Vianello, la fedeltà non è mai stata in cima alla lista delle sue preferenze.
«La fedeltà è un’ipocrisia: ripetiamo continuamente che siamo liberi e io mi sono sempre sentito libero di frequentare chi volevo».
Ma lei è mai stato tradito?
«Sempre. Non sa quante volte. Facendo le somme direi che più o meno pareggiamo».
A occhio non è un calcistico 1 a 1, è un pareggio con molti gol.
«Credo assomigli di più a una partita di basket».
Edoardo Vianello vive da 87 anni con un’ironia di cristallo. Un codice di lettura della realtà che ha adottato nella vita privata e ha messo nelle sue canzoni. Brani che sono di tutti.
Tre matrimoni significano che è un inguaribile romantico o un pazzo?
«È difficile stare sempre con la stessa moglie. Io poi avevo tante occasioni di incontri e soprattutto quando le mogli diventano una palla al piede, uno cerca di tagliare la catena».
Tre matrimoni molto differenti l’uno dall’altro.
«Quello con Wilma Goich era un matrimonio di ragazzi, io ero giovane, lei giovanissima, era quasi un gioco, volevamo fare i grandi, però poi ci siamo resi conto che eravamo molto distanti».
Quindi Vania Muccioli.
«Il secondo matrimonio è stato molto impegnativo e alla fine non mi ha dato nessuna soddisfazione».
Il terzo sembra quello definitivo: era single da due ore e ha incontrato Elfrida Ismolli, 37 anni meno di lei.
«Avevo appena firmato il secondo divorzio, avevo un appuntamento dal dentista e mi sentivo libero. Pensavo alla fortuna di essere tornato single e appena sono entrato nello studio ho notato lei: mi sono sentito in dovere di fare colpo. Da più di vent’anni ho finalmente trovato una persona che si preoccupa e si occupa di me seriamente. E questo mi ha allungato la vita».
Ci pensa all’età?
«È l’età che pensa a me. Regalandomi qualche acciacco».
Qual è il segreto per mantenersi in forma?
«Ho fatto sempre una vita molto sana, non mi sono né affumicato i polmoni né ho bruciato il mio corpo con le droghe. Questo stile di vita credo che abbia contribuito a mantenere la chiarezza della voce».
Il suo regime alimentare?
«Un regime alimentare mediterraneo, come si dice quando uno magna tutto».
Gli anni sono un numero, lei è intramontabile.
«Non me lo sarei mai aspettato, è stata una bella sorpresa. Ho composto le mie canzoni per giocare, non pensando a una carriera così lunga».
Da dove nasce la sua ironia?
«Abbiamo in famiglia un Raimondo (era il cugino di suo padre) che ovviamente è il papà dell’ironia. Ma tutta la famiglia era così».
Suo padre era il poeta futurista Alberto Vianello.
«È sempre stato molto bizzarro nel suo modo di scrivere, di esprimersi, di parlare, anche se era una persona molto seria e colta: i miei amici venivano più a trovare lui che me».
Di cosa va fiero?
«Non ho scritto canzoni commerciali come molti possono pensare, modestamente ho scritto dei piccoli capolavori, che corrono sul filo tra l’essere canzonette ed essere piccole genialità. Mi interessava essere originale, diverso dagli altri».
C’è stato un momento in cui ha peccato di hybris, in cui si è sentito invincibile?
«Non sono mai stato convinto di aver raggiunto qualcosa di serio, anche adesso che sono alla fine della mia carriera, sono sempre in attesa che succeda qualcosa di importante».
Anni 60, anni spensierati. Per lei anni d’oro. Poi sono arrivati i 70, gli anni di piombo. E il suo successo si è appannato.
«Altro che appannato, si è proprio cancellato. Quei pochi spettacoli che ho fatto verso la fine degli anni 60 erano un tormento, venivo contestato, metaforicamente era come se mi tirassero le pietre addosso. Ero molto a disagio sul palco e quindi ho deciso per tre anni di non salirci più. Per me la musica era divertimento, non un mestiere. Pensavo: chi me lo fa fare di prendere improperi sul palco».
Oggi genio, domani cane. Come si è sentito quando è crollato quel mondo che sembrava perfetto?
«Pensavo che fosse finita, non credevo di poter riprendere quota. Ho avuto la buona idea di aprire una piccola casa discografica, perché credevo ancora di intendermi di musica, per cui ho trasferito ad altri quello che non potevo fare io: Renato Zero agli inizi della sua carriera, Amedeo Minghi, Califano ma soprattutto i Ricchi e Poveri che portammo al Festival di Sanremo nel ‘70 con La prima cosa bella furono buone intuizioni».
Il fatto di non essere di sinistra negli anni di piombo era uno svantaggio?
«Sì, ma non mi sono mai posto il problema. Non avvertivo un’avversione nei miei confronti per questo motivo, anzi io cantavo a tantissime feste dell’Unità sempre con grande successo. Era solo cambiato il clima, non solo per me, ma per tutti».
Rimanendo alla politica, il governo dovrebbe accogliere i Watussi o vanno mandati in Albania?
«No, al paese di mia moglie meglio di no… I Watussi controllano dall’alto la situazione, è gente utile e non va cacciata. Poi sono troppo simpatici, è un popolo che mi ha portato così fortuna, sarei irriconoscente a non accoglierli».
C’è un cantante ironico come lei?
«Caparezza è molto bizzarro, mi piace. Ma io sono completamente all’oscuro di quello che succede nel campo musicale da un certo punto in poi, ho perso il segno».
A che anni si è fermato? Ai Duemila?
La battuta è fulminante: «Prima. A Modugno… Ogni tanto sento qualcosa che è carino, però non so chi canti e da dove provenga».
Ha avuto un grandissimo successo popolare, però a Sanremo non ha mai lasciato il segno.
«Ne ho fatti tre, però il Festival non è il palcoscenico per me, perché io sono una persona estremamente timida e ho bisogno di 15-20 minuti per prendere confidenza con il pubblico. Lì invece te ne danno solo tre. Il mio Sanremo sono stati i jukebox».
Da buon ragioniere qual è, è un maniaco delle statistiche, ce n’è una che ancora oggi tiene aggiornata?
«Quella delle vendite dei dischi. Una canzone come Abbronzatissima è stata inserita in centinaia di compilation, per cui mi risulta che siano stati venduti otto milioni e cinquecentomila copie di quel titolo. Poi I Watussi con 7 milioni. Se aggiungiamo Guarda come dondolo, Il capello, Pinne, fucile ed occhiali, La partita di pallone, Sul cucuzzolo della montagna, Il peperone, Tremarella arriviamo a 66 milioni. Sono titoli che conoscono tutti, è un orgoglio».
Un episodio da raccontare?
«Mia moglie mi fa fare figure terribili. Chiede sempre a tutti: Se io dico Nel continente nero? Per vedere se rispondono Paraponzi ponzi po. Siamo stati a un premio al Quirinale, Mattarella era seduto in prima fila e noi dietro di lui. Mia moglie l’ha chiamato: Presidente, scusi, se io le dicessi Nel continente nero, lei cosa risponderebbe? Lui è stato eccezionale: Alle falde del Kilimangiaro».
Una spesa folle?
«Agli inizi della mia carriera, quando mi sono sposato con Wilma, mi sono comprato una Bentley. La usavo solo per girare per Roma, perché per viaggiare era scomodissima».
La serata peggiore?
«Sono talmente tante… penso a quelle nelle quali la gente non ti sta neanche a sentire. Specialmente in qualche festa privata di qualche riccastro che voleva fare colpo invitando me. Mi ricordo una volta che nessuno si è nemmeno voltato dalla parte del palco: finito lo spettacolo, zero applausi».
Andrà in Paradiso o all’Inferno tra altri 87 anni?
«Forse all’inferno ho più amici».
10 agosto 2025
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