di
Massimo Marino

Nel 2010 l’artista appena scomparso a 94 anni realizzò una serie di ritratti nel quartiere su richiesta della Fondazione del Monte per una mostra nella nuova sede del San Donato. Il racconto dell’ex assessora Bruna Gambarelli

Era entrato nelle case del quartiere San Donato, Gianni Berengo Gardin, il grande fotografo scomparso giovedì scorso a 94 anni. Con Bologna aveva già avuto un rapporto nel 1993: aveva fissato, in un bianco e nero smagliante, che rendeva i colori tenui e le ombre del pittore, gli oggetti e le stanze dello studio di Giorgio Morandi. 

Il fotografo a caccia di ritratti in San Donato

Nel 2010 fu chiamato dalla Fondazione del Monte per una mostra su San Donato che avrebbe inaugurato la piazza della nuova sede del Quartiere. Fece da tramite la compagnia teatrale Laminarie, che si era installata da qualche mese al Dom – la cupola del Pilastro. Per tre giorni girò, entrando in interni di famiglie, percorrendo e ritraendo strade, slarghi, edifici. Uno o due scatti al massimo, in ogni situazione.



















































Il ricordo di Bruna Gambarelli: «Entrava nelle case con rispetto»

Ricorda oggi Bruna Gambarelli, direttrice artistica di Laminarie: «Berengo Gardin entrava nelle case. Si guardava intorno, in maniera rispettosa. Senza troppi convenevoli, disponeva i gruppi familiari. La mia famiglia l’ha ripresa nel Dom: ci ha detto di sistemarci come volevamo, ha guardato, ha effettuato un solo scatto». 

Berengo Gardin lo avrebbe detto in un’intervista a Bruna Gambarelli, pubblicata sulla rivista editata dalla compagnia, «Ampio raggio» (febbraio 2011): «Il digitale non esercita alcun fascino su di me e continuo a scattare su pellicola. Certo per molti professionisti il digitale è importante, fanno una foto e due minuti dopo possono inviarla a New York, a Mosca. Ma io sono un privilegiato che può permettersi ancora il lusso della pellicola, e poi sono un fondamentalista dell’analogico! Col digitale oggi si scatta a caso, moltissime fotografie che poi si buttano per metà. Qualche anno fa c’era una grande società giapponese che faceva questa pubblicità con dei manifesti che dicevano: “Non pensare, scatta!” Io ai miei allievi dico: “Prima pensa per due ore e poi, eventualmente, scatta”».

Strade e case del Pilastro ritratte con la Leica

Si aggirava per strade e case con un’attrezzatura leggera, sostanzialmente la sua Leica, un vero e proprio altro occhio, una penna-taccuino capace di cogliere caratteristiche e differenze familiari e sociali. Diceva ancora nell’intervista: «Abbiamo visitato le case di famiglie provenienti da varie classi sociali, in vari ambienti, dai single fino a gruppi famigliari di 12-13 persone, dai borghesi, agli anziani, agli operai fino a una famiglia Rom. Insomma, fino a ora sono state tutte delle sorprese e credo che, collettivamente, queste immagini possano raccontare qualcosa di questo quartiere».

Le famiglie fotografate non sapevano chi fosse Berengo Gardin

«Molte delle persone fotografate — ancora Gambarelli — non sapevano chi fosse. Alcuni ne hanno cercato poi il nome sull’enciclopedia». Per la mostra sono stati scelti 30 scatti, 20 di interni, 10 di esterni architettonici. Laminarie ha chiesto ad abitanti del quartiere di scrivere le didascalie: «Non erano gli stessi fotografati, non conoscevano le fotografie. Abbiamo voluto creare uno scarto bello, per materializzare una specie di indagine a più livelli sulla zona. Le foto le abbiamo esposte anche all’interno di Dom. Le famiglie ritratte conservano una copia firmata da Berengo Gardin».


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9 agosto 2025