Questa settimana abbiamo assistito all’ennesima conferma che il “libero mercato” esiste solo quando conviene agli Stati Uniti. Il resto del mondo? Paghi, si adegui, o venga punito.
È bastata una telefonata di 30 minuti tra Donald Trump e la presidente svizzera Karin Keller-Sutter per far saltare mesi di trattative e bruciare 150 miliardi di dollari di investimenti elvetici negli Usa. Il risultato? Un dazio del 39% sulle esportazioni svizzere, uno schiaffo pubblico servito proprio nel giorno della festa nazionale svizzera. La risposta di Berna? Un volo d’emergenza a Washington, senza nemmeno un appuntamento con la Casa Bianca. Sembra la trama di un romanzo umoristico, invece è la nuova normalità nelle relazioni transatlantiche.
La Svizzera “sorpresa e delusa” dai dazi Usa al 39%: “Assurda la posizione di Trump”
Gli Stati Uniti dettano le regole perché sono il mercato più ricco del mondo. Comprano tutto da tutti. E quindi possono permettersi di usare il proprio deficit commerciale come arma politica. Trump non guarda la composizione del saldo — non gli interessa che il surplus svizzero sia “gonfiato” da esportazioni di oro che la Svizzera nemmeno produce, o da farmaci che salvano vite americane. No, a Trump basta il numero: 39 miliardi di dollari surplus? Allora via con il 39% di dazio. Un sillogismo brutale, eppure efficace. E Trump lo fa perché lo può fare, perché l’export di queste nazioni dipende dal mercato americano.
Questa strategia ha già funzionato con altri. Il Giappone, ad esempio, ha accettato dazi al 15% e ha firmato un impegno da 550 miliardi di dollari in investimenti negli Stati Uniti. In cambio, ha dovuto anche accettare automobili americane costruite secondo standard statunitensi. E l’Unione Europea? Zitta e mosca: ha firmato per un dazio del 15% e 600 miliardi in investimenti. Anche il blocco più potente dopo gli Usa si è inchinato.
Berna pensava ancora che bastassero la buona volontà e la neutralità. Ha eliminato i dazi su oltre il 99% dei beni americani. Ha promesso più importazioni di Gnl, il gas liquefatto made in Usa. Ha dato carta bianca a Nestlé, Roche e Novartis per investire negli Stati Uniti. Ma non è abbastanza. Perché nel nuovo ordine mondiale, non conta quanto sei ragionevole, conta quanto sei utile per la narrativa di Washington.
Certo la Svizzera ricca, neutrale e benestante è un bell’avversario. È bastato accusarla di “rubare soldi agli americani” per imporgli uno dei dazi più alti mai visti in tempi moderni. Altro che Svizzera dei segreti bancari: ora la Svizzera è diventata il capro espiatorio della bilancia commerciale americana.
Nel frattempo, gli stessi farmaci per cui la Svizzera è stata punita — e che rappresentano il 60% delle sue esportazioni verso gli Usa — sono anche oggetto di minacce dirette da parte della Casa Bianca. Lettere ufficiali hanno chiesto a Novartis, Roche e Genentech (la loro filiale Usa) di abbassare i prezzi. Si chiama doppia imposizione: prima ti uso, poi ti bastono.
E i mercati? Si preparano a un lunedì di sangue. Gli analisti parlano di un impatto sul Pil elvetico fino all’1%. Ma la vera ferita è politica: la presidente Keller-Sutter è tornata da Washington a mani vuote, senza nemmeno aver incontrato Trump, lasciando la Svizzera con il dazio più alto imposto a un Paese ricco. I media elvetici l’hanno definita “la più grande sconfitta dal 1515 nella battaglia di Marignano”. E non è solo un’esagerazione storica: è il fallimento di un’illusione collettiva.
L’Ue, che pure gode di un surplus di 235 miliardi di dollari con gli Stati Uniti, ha firmato l’accordo con Trump senza fiatare. Non per convinzione, ma per impotenza. Perché mettere d’accordo 27 Paesi è impossibile. E quindi Bruxelles si è arresa. Anche il Giappone, che con gli Usa ha un surplus di 63 miliardi, ha firmato. Tutti si sono piegati al volere del nuovo imperatore globale.
E mentre le capitali occidentali fingono di non vedere, i Brics avanzano. Rappresentano già il 25% del commercio mondiale, e in molti casi l’Ue registra deficit commerciali pesanti, soprattutto con la Cina. Ma l’attenzione politica resta rivolta a Washington, come se fosse ancora il garante dell’ordine globale.
Cosa accadrebbe se anche la Cina iniziasse a usare il commercio come un’arma politica? Se i Brics decidessero di esigere investimenti dall’Ue in cambio di accesso ai loro mercati? La verità è che oggi, più che mai, l’Occidente si scopre vassallo. Non c’è libero mercato, solo mercato condizionato al potere politico.
E chi si ostina a pensare che tutto si risolverà con la diplomazia, farebbe bene a guardare in faccia la realtà. La neutralità è morta. Il libero scambio è una finzione. E il commercio internazionale è ormai uno strumento di dominio.