A Ferragosto penso sempre a Il sorpasso, il film più bello del cinema italiano. E per associazione di pensiero passo a Il vedovo e alla Torre Velasca, all’ombra della quale si svolge la trama del romanzo di Bianciardi, il più bello mai scritto sull’editoria italiana. E che avrà presto una cover contemporanea firmata da Alice Valeria Oliveri

È un riflesso pavloviano, è Ferragosto e io penso a Dino Risi. Non posso farne a meno. Ho avuto il privilegio di curarne l’autobiografia, I miei mostri, per Mondadori, nel 2004. Risi aveva 86 anni e il veleno gentile di un satiro mai andato in pensione.

Fu l’amico più divertente e più cattivo che mi sia capitato d’incontrare. In quel libro – si trova su eBay per cinque euro o al Libraccio, – il grande regista, ex psichiatra (laureato medico, con tanto di camice), raccontava di come, stanco di curare pazienti che non sarebbero guariti, si fosse dato al cinema: la psicoanalisi con la macchina da presa. E da lì, Il sorpasso. Il film più bello del cinema italiano.

Quello: Gassman, Trintignant, l’Aurelia B24 Spider, e Roma deserta come un’epigrafe del boom, proprio a Ferragosto. Non è nostalgia, è geografia sentimentale, è antropologia culturale. Da quel film Dennis Hopper trasse l’idea per Easy Rider. Un altro cult. Non era tutta farina americana. C’era molta farina di Risi, macinata sull’Aurelia.

Poi c’è Il vedovo, la commedia più perfida mai girata: Sordi e Franca Valeri, la Torre Velasca che fa da quinta modernista alla tragedia dell’italiano medio. «Cosa fai, cretinetti? Parli da solo?». Basterebbe quella battuta per salvare il cinema italiano dal dimenticatoio.

Fu girato nel 1958, la Velasca appena inaugurata. Milano è quel lassù, da quel fungo eversivo, la nascente metropoli fotografata negli anni splendenti del boom.

Su quel film Tommaso Labranca ha scritto un libro cult: Progetto Elvira – Dissezionando Il Vedovo. Un saggio miracoloso, come se Roland Barthes si fosse reincarnato in un fan di Risi. Introvabile, ovviamente. Qualche editore illuminato dovrebbe ripubblicarlo.

E proprio quest’anno, maggio 2025, la Torre Velasca è tornata a nuova vita, restaurata e rilustrata. Un attimo prima dello scandalo edilizio milanese: quello delle SCIA per tirar su palazzi nel cortile. Segnalazione certificata d’inizio attività, appunto. Una sigla, un’ideologia, un genere comico involontario. Risi ne avrebbe fatto un film. Purtroppo è tutto vero.

Una cover di Bianciardi 

C’è però un romanzo bellissimo che uscirà a settembre che fa esplodere con una bomba carta il quinto piano della Velasca appena tirata a lucido. Si intitola Una cosa stupida, (come i benchmark, le riunioni, le mission, gli stream, lo storytelling. Cose stupidissime che vengono prese sul serio) e l’ha scritto la nostra formidabile Alice Valeria Oliveri.

Che ne fa una cover contemporanea de La vita agra di Luciano Bianciardi. Il libro più bello mai scritto sull’editoria italiana, lo trovate nei tascabili Feltrinelli, Trilogia della rabbia, che per 15 euro e 20 contiene anche gli altri due romanzi Il lavoro culturale e L’integrazione, più una bella introduzione di Francesco Piccolo. Ecco nella Vita agra, che fu anche un film di Lizzani con Ugo Tognazzi, il Torracchione, non esplode. In Oliveri sì. E fa una bella differenza.

Andate in paradiso e sentite come scrive Bianciardi:

«Farò squillare come ottoni gli aoristi, zampognare come fagotti gli imperfetti, pagine e pagine di avoivoevo da far scendere il latte alle ginocchia, svariare i presenti dal gemito del flauto al trillo del violino alla pasta densa del violoncello, tuonare come grancasse e timpani i futuri carichi di speranza.

Vi darò il romanzo tradizionale, con tre morti per forza, due gemelli identici e monocoriali e un’agnizione. Il romanzo neocapitalista, neoromantico o neocattolico, a scelta. Ci metterò dentro la monaca di Monza, la novizia del convento di ***, il curato di campagna e il prete bello. Vi canterò l’indifferenza, la disubbidienza, l’amor coniugale, il conformismo, la sonnolenza, lo spleen, la noia e il rompimento di palle». 

Sentite ora un frammento in anteprima di Oliveri:

«CityLife, le Tre Torri, l’ammasso di cemento, vetro e ferro addolcito da un giardino simmetrico da rendering in cui proliferavano i conigli. Questi grattacieli, a differenza della Torre Velasca, mi sembravano creature venute dal futuro, da una battaglia tra Titani della tecnologia che avevano partorito divinità sotto forma di edifici minacciosi, pieni zeppi di persone nonostante non ci fosse traccia di umanità. La Torre Velasca, invece, la percepivo come un reperto archeologico, un tempio del passato rimasto intatto nonostante il tempo avesse cambiato la realtà circostante. La sua modernità era antica, era l’idea del futuro nel passato, cosa che la rendeva ai miei occhi più espressiva, ma non per questo meno ostile».

Quali sono i libri più belli che state leggendo e leggerete a Ferragosto?

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