Applausi a scena aperta per il drappellone realizzato dal pittore siciliano Francesco De Grandi per il Palio dell’Assunta 2025. L’opera è stata svelata pochi minuti fa in un gremito cortile del Podestà, a presentarlo è la critica d’arte Helga Marsala. Un drappellone “maestoso e raffinato” lo ha definito il sindaco Nicoletta Fabio.
La composizione è organizzata in modo regolare, secondo una scansione per finestre, rinunciando all’unità narrativa ed evocando i polittici costruiti per pannelli, le predelle delle pale d’altare, i dittici e i trittici su tavola. La scelta di raccordare le varie parti con una preziosa passamaneria dorata, e poi di chiudere l’estremità inferiore con un tessuto damascato, anch’esso color oro, è una dichiarazione di aderenza alla tradizione, pensando all’antica arte tessile e alla sua straordinaria applicazione in ambito civile e religioso. Allo stesso modo simboli e animali che identificano le Contrade sono riproposti fedelmente all’interno degli stemmi, perfettamente riprodotti: l’artista ha giusto aggiunto i nomi, scritti di suo pugno. In alto domina la scena la figura di Maria, la cui resa realistica chiama in causa l’iconografia sacra e la figurazione classica, al contempo modificandola, proiettandola altrove, in un processo raffinato di attualizzazione e insieme di proiezione onirica. Lo scialle di Maria diventa un lembo di cielo ricamato di stelle, che lei dischiude appena, generando una pioggia siderale. Ed è proprio da quel manto che sembra provenire lo sciame volante di cavalli e cavalieri, in picchiata verso il suolo di Siena, che appare sullo sfondo, a sinistra, un miraggio dorato in lontananza.
“Un artista – ha commentato Nicoletta Fabio, Sindaco di Siena – da me fortemente voluto e stimato. Al centro di tutto, la forza evocativa di due immagini che si incontrano e si completano. La figura della Madonna Assunta in cielo, iconica, sembra arrivare leggiadra e solenne a un appuntamento importante, che sapeva di avere, e per il quale ha voluto indossare la sua veste più bella e preziosa: è il giorno dell’Assunzione. Una Vergine moderna, giovane e raffinata nei suoi abiti e nei suoi accessori. Le sfumature di un blu intenso, quello della sua veste, si riversano in un’alba cittadina, con uno skyline di Siena dorata sullo sfondo. Dorata come i cavalieri che compongono la seconda immagine e parte del Drappellone, in corsa, sopra gli stemmi delle 10 Contrade. Cavalieri dorati, come lo sono le cuciture del cencio realizzate dalle nostre sarte e non dipinte, protagonisti di una corsa mitologica, pagana. Forte e potente il parallelismo creato da De Grandi tra la nostra corsa e il culto dionisiaco. L’esperienza religiosa del culto dionisiaco portava i fedeli a perdersi completamente per entrare in una dimensione che trascendeva la ragione. Un po’ come sono raffigurati questi cavalieri dorati, tra cielo e terra, che gareggiano a nerbo alzato verso la vittoria. Una dimensione che noi senesi conosciamo bene, che si manifesta durante la Carriera ma non solo, in maniera sfrenata, travolgente, a tratti anche folle. Pensando a quei momenti mi è tornata alla mente la descrizione fatta da Nietzsche proprio su Dioniso ‘Ma questa volta vengo come Dioniso il vittorioso che farà della Terra una giornata di festa’. Una festa che dunque ci fa perdere e ritrovare in noi stessi, che ci travolge, ci trasforma e ci costringe ad una corsa sfrenata, senza tempo. Una forza sovrannaturale che entra nelle nostre vene e che ci esalta, ci inebria. Questo racconta per me il cencio di Francesco De Grandi. Una follia consapevole che spero ci guidi sempre nel vivo delle nostre tradizioni”.
“Francesco De Grandi – ha spiegato Helga Marsala, critica d’arte, che ha presentato l’opera – è un artista capace di fondere, alla sua maniera, tradizione e attualità della grande pittura figurativa europea d’ambito mediterraneo, ma anche nordico: una pittura, la sua, nata e coltivata in Sicilia, non a caso. Negli anni De Grandi ha attraversato e sviscerato prevalentemente i temi del sacro e della natura, facendone occasione di riflessione teorica, di indagine estetica, di meditazione. Una ‘forma di preghiera’, in senso laico ma anche spirituale, ovvero un lento strumento di conoscenza e di compenetrazione nelle cose. L’eco di epoche lontane e il tratto assimilato dei grandi maestri del passato tornano di continuo: tra paesaggi sontuosi e luoghi senza tempo, le sue tele negli anni hanno messo in scena uno stuolo di Santi, Cristi, martiri, eremiti, figure tragiche ed epiche, naufraghi, peccatori, creature precipitate nell’inferno dei margini e della sofferenza o nella luce di un Eden immaginario. Donne e uomini toccati dalla grazia, oppure smarriti nel cuore della notte. Il sentimento dell’antico, però, lontano da stucchevoli ricalchi, nel suo immaginario si declina e si ancora al presente, tanto da consentirci di percepire come prossimi personaggi e scene dal sapore visionario, letterario. È l’attitudine pittorica a restare contemporanea: il segno, la pennellata, l’intenzione, le logiche della rappresentazione. E non perché i riferimenti biblici, mitologici o storici vengano stravolti. Anzi. Lo slittamento è sottile, provocato da minime alterazioni, tali da non disinnescare il cortocircuito, la leggera ambiguità: c’è sempre qualcosa che non quadra, che non torna, un oggetto, un dettaglio, un volto che arrivano da un tempo presente e concreto, disallineato”.