Lontano dai clamori di Donald Trump, ma non per questo meno efficace. È così che si muove Robert F. Kennedy Jr – l’ultima sua decisione riguarda la cancellazione di 500 milioni di dollari in sussidi pubblici per lo sviluppo di vaccini basati sulla tecnologia mRna – ministro della salute americana e capo del Make America Healthy Again, il movimento che con la sua crociata contro l’agricoltura aziendale, le aziende farmaceutiche e l’establishment medico può contare su uno stuolo di influencer, madri e attiviste che sono state fondamentali per facilitare a Trump l’accesso al voto delle giovani donne. Tra queste il nome più celebre è quello di Alex Clark, conduttrice di un podcast video bisettimanale nonché parte del gruppo giovanile pro-Trump Turning Point Usa e fedelissima di RFK Jr. «Trump gli ha dato carta bianca», dice al telefono. «Per me è abbastanza per avere fiducia nel presidente».

Che ruolo ha avuto il movimento MAHA nella vittoria di Trump?

«Fondamentale, soprattutto tra le giovani donne per le quali il dibattito sulla salute è cruciale. Durante la campagna del 2024, ogni volta che parlavo di corruzione nell’industria alimentare americana e in quella farmaceutica e dell’epidemia di malattie croniche, ottenevo un riscontro incredibile, migliaia di donne cliccavano sui miei link per registrarsi e votare, gente che non aveva mai votato repubblicano che per la prima volta lo faceva».

Trump però non è un presidente nemico delle multinazionali né salutista.

«Trump tiene alla sua eredità e a poter dire di aver fatto qualcosa di buono per il Paese su cui tutti possano essere d’accordo. Se riesce a dimostrare che la sua amministrazione ha contribuito a invertire la rotta nella crisi delle malattie croniche, soprattutto tra i bambini, tutti dovranno scrivere qualcosa di positivo. Siamo onesti: a lui importa cosa pensa la gente, vuole essere apprezzato».

Non è una contraddizione sostenere ciò che non si pratica in prima persona?

«RFK Jr è stato bravo a fargli vedere le cose in termini di sicurezza nazionale: il 77% dei giovani adulti ora non riesce a entrare nell’esercito in base ai punteggi di salute, tanto che gli standard di reclutamento sono stati abbassati. Il 50% dei giovani adulti americani è sovrappeso o obeso. Un terzo dei giovani adulti ha il prediabete. Il 40% dei diciottenni soddisfa effettivamente i criteri per un disturbo di salute mentale. Tutto a causa dal cibo: l’intestino e il cervello sono collegati».

Benessere, cibo biologico, pratiche salutiste sono sempre state argomenti di sinistra. Come e quando è diventato un tema caro ai conservatori?

«Vero, erano temi che interessavano molto le celebrità progressiste di Hollywood. Ma quando è scoppiata la pandemia molte mamme e donne hanno aperto gli occhi: non avevano mai considerato che ci fosse corruzione nell’industria farmaceutica finché non ci hanno imposto il vaccino contro il Covid».

Il movimento MAHA si sovrappone anche a una visione conservatrice che rifiuta il femminismo.

«Il movimento femminista ha voluto dare potere alle donne dicendo loro che il modo per avere pari diritti fosse comportarsi come gli uomini. Essere schiave del proprio ufficio, aspettare più tardi per avere figli, fare sesso non protetto quanto si vuole: tutte cose che hanno danneggiato le donne. Dico una cosa politicamente scorretta: per il nostro ciclo mestruale e il modo in cui funziona il nostro corpo, non siamo biologicamente progettate per lavorare allo stesso modo degli uomini. A volte siamo più creative, a volte gestiamo meglio lo stress, a volte vogliamo stare a casa. È per questo che così tante sperimentano il burnout: i nostri ormoni si sbilanciano».

Lei è anche contro i contraccettivi?

«Negli anni Settanta, sono state le femministe liberali le prime a lanciare l’allarme sulla pillola anticoncezionale ormonale e sui suoi effetti collaterali. Non sono stata io, né le mamme cristiane di periferia».

Pensa che soprattutto le donne millennial si sentano tradite dalle idee femministe?

«Ci hanno venduto la bugia della “girl boss” , della priorità alla carriera, dell’andare all’università. Essere un’insegnante non era abbastanza. Bisognava essere un medico, un avvocato. Ci è stato detto che per essere davvero donne non avevamo bisogno di avere una famiglia, che all’università dovevamo concentrarci sulla carriera. I dati dicono però che, una volta che ha figli, il 65% delle donne finisce per lavorare part-time o non lavorare affatto. Invece alle donne ai primi anni di università bisogna dire: “Se volete fare carriera, scegliete qualcosa che sia adatto alla maternità, perché statisticamente la vorrete più avanti”. Se le donne lo sapessero dall’inizio, farebbero scelte diverse».