Una effervescente distesa di vita. Come un prato fiorito, a migliaia di metri dalla superficie dell’acqua. Gli ultra-abissi oceanici non smettono di stupire: stavolta arriva da una profondità di nove chilometri la testimonianza della vita vertebrata marina più lontana dalla superficie mai ‘certificata’: cinque vermi tubolari che emergono dai fondali, sembrano quasi gamberetti. Si chiamano Macellicephaloides grandicirra: mai erano stato ripresi e fotografati così in profondità, in una fossa dell’Oceano Pacifico nord-occidentale. Per farlo, un team di ricercatori dell’Institute of Deep-sea Science and Engineering, ente nazionale cinese di ricerca oceanografica che si pone tra gli obiettivi proprio lo studio delle profondità marine, ha viaggiato a bordo del Fendouzhe, un sommergibile in grado di operare a profondità superiori ai dieci chilometri anche fino a dieci ore consecutive.

I risultati? Sorprendenti. Con foto e video che raccontano, senza bisogno di postproduzione, la meraviglia degli abissi. Guest star le cinque creature bianche e appuntite, vermi tubolari che possono arrivare a 30 centimetri di lunghezza. Ma nei 2500 chilometri percorsi dalla spedizione scientifica, che ha esplorato fosse a profondità comprese tra i 5.800 e 9.533 metri, sono stati fotografati più ecosistemi, dominati da vermi tubicolari e banchi di molluschi bivalvi, qualcosa di apparentemente simile alle vongole: organismi abituati a vivere nel buio pesto e a pressioni particolarmente alte. Tra loro, secondo i ricercatori, anche specie mai osservate prima e che potrebbero dunque essere classificate in un futuro non troppo remoto. Finora la documentazione di un animale vertebrato più in profondità risaliva al 2023, quando in una fossa oceanica al largo del Giappone fu osservato un pesce lumaca, 8.366 metri sotto il livello del mare. Stavolta, per ammissione dei ricercatori, che hanno riassunto alcune delle evidenze in un articolo appena pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature “l’abbondanza di animali osservata dall’oblò del sommergibile è stata assolutamente sbalorditiva”. “Quello che abbiamo visto è stato davvero sorprendente ed è un privilegio, soprattutto per uno scienziato delle profondità marine, andare in un luogo che gli esseri umani non hanno mai esplorato”, sottolinea Xiaotong Peng, tra i ricercatori della spedizione.

Biodiversità

Quanto poco conosciamo gli abissi oceanici

di Anna Lisa Bonfranceschi

17 Giugno 2025

Quanto poco conosciamo gli abissi oceanici

Tra gli obiettivi futuri, la comprensione dei meccanismi di adattamento delle specie a condizioni apparentemente così ostili per la vita. “Devono avere qualche trucco per adattarsi alla vita in condizioni di altissima pressione”, sottolinea Megran Du. Decisivo, secondo i ricercatori, il “carburante” chimico che fuoriesce dai fondali marini, al punto che Andrew Sweetman, scienziato della Scottish Association for Marine Science, sottolinea a BBC News come questa scoperta dimostri, forse per la prima volta in modo così chiaro, che “interi ecosistemi alimentati dal metano potrebbero esistere nelle aree più profonde dell’oceano”. Si tratta del meccanismo della chemiosintesi, un processo che, a differenza della fotosintesi clorofilliana (che utilizza l’energia solare) sfrutta l’energia liberata da alcune reazioni inorganiche per produrre sostanze organiche: trasforma, quindi, alcune sostanze inorganiche a più bassa energia in alcune con più alta energia. Consentendo la vita anche dove non ci si aspetterebbe una simile biodiversità.

“Proprio così. – conferma Roberto Danovaro, già presidente della Stazione Zoologica Anton Dohrn, oggi docente di ecologia all’Università Politecnica delle Marche, tra gli esperti più influenti al mondo sullo studio del mare – I risultati di questo progetto confermano che il metano nelle fosse ultra-abissali è prodotto dal riscaldamento della materia organica presente sul fondo delle fosse oceaniche, un riscaldamento che avviene per effetto della loro vicinanza alla crosta terrestre e al magma sottostante”. E sugli esiti generali della ricerca: “È come aver fatto una nuova spedizione sulla luna e aver scoperto che ci sono forme di vita. – dice Danovaro – Si sapeva già che alcune forme di vita molto specializzate potevano sopravvivere anche a diecimila metri di profondità, ma che esistessero intere distese coperte da vermi e molluschi bivalvi giganti con habitat così ricchi di vita è un’autentica sorpresa. Ancora più straordinaria – prosegue – se pensiamo a come vivono e si nutrono queste forme di vita, con bivalvi e altri organismi che si nutrono di metano convertito dai batteri che vivono in simbiosi in sostanze nutritive”. E c’è anche un risvolto geopolitico: “Questa spedizione – spiega Danovaro – è anche la dimostrazione della capacità tecnologica cinese che, anche in questo settore, ha raggiunto i livelli record precedentemente raggiunti solo dagli Stati Uniti.In un mondo che sta spostando i propri interessi scientifici ed economici sul mare, le tecnologie marine rappresenteranno un elemento chiave per competere ai massimi livelli”.