E così siamo arrivati all’ultimo appuntamento della torrida estate a tema zombie su Sky e Now, che si conclude con la seconda stagione di The Walking Dead: Dead City (ma per i più temerari non c’è da disperare, poiché il trailer di Daryl Dixon 3 ha annunciato la data d’uscita in Italia ed è vicinissima). Una stagione che sinceramente ed in tutta onestà non riusciamo a definire se non come un accanimento terapeutico, sia nei confronti di uno spin-off che non riesce a mettere in campo idee fresche o intriganti sia verso un franchise in caduta libera e non da poco, che sembra continuare per mera mancanza di concorrenza. L’interrogativo è lecito: se si vuole guardare un telefilm (non comico e non una miniserie estemporanea) incentrato sugli zombie, il mercato attuale cos’altro offre? Davvero poco.
Quindi si continua a migrare su The Walking Dead, che però non riesce ad emergere o impressionare in alcun modo. E, similmente a Daryl Dixon, in cui la seconda stagione segnava un netto passo indietro rispetto alla prima (qui potete recuperare la nostra recensione di The Walking Dead Daryl Dixon 2), anche Dead City non è da meno. L’aggravante? L’esordio dell’improbabile coppia Maggie-Negan ci aveva già stupito in negativo, molto di più delle prime avventure francesi di Daryl.
Manhattan e metano, seconda parte
Ma, come di consueto, cerchiamo un attimo di riprendere le fila del (tenue) racconto: la seconda stagione di Dead City inizia circa ad un anno di distanza dalla prima (e qui vi rimandiamo alla nostra recensione di The Walking Dead Dead City) e ritroviamo da un lato una Maggie (Lauren Cohan) quasi costretta ad unirsi ad una spedizione di New Babylon verso Manhattan per cercare di impossessarsi delle sue riserve di metano e dall’altro un Negan (Jeffrey Dean Morgan) ancora prigioniero della Dama (Lisa Emery), che sta cercando la chiave di volta per renderlo suo alleato.
Ora, riteniamo sia adeguato iniziare dalle note positive, se non altro perché sarà l’argomento di gran lunga più breve di questa recensione. E, paradossalmente, i “pregi” di Dead City non sono affatto cambiati, in quanto ad esempio il punto di forza è rappresentato sempre dalla dinamica tra Maggie e Negan, sulla carta un’accoppiata estremamente sciocca che però nei fatti riesce a dar vita a dei momenti interessanti. È pur vero che i due spendono sostanzialmente quasi l’intera stagione separati e dunque gli sceneggiatori hanno pensato di creare dei piccoli parallelismi tra i loro archi, una scelta intelligente che dona un minimo di vitalità all’insieme. Questa dinamica, in aggiunta a qualche scena sfiziosa in cui Negan ritorna il mostro che abbiamo conosciuto nella serie madre, rappresenta l’unico spiraglio di luce dello spin-off. La domanda giunge allora spontanea: perché, se i pregi (e, come vedremo a breve, i difetti) sono rimasti inalterati rispetto alla prima stagione, abbiamo dato un voto più basso?
Le motivazioni principali sono due, entrambe particolarmente problematiche. Innanzitutto la seconda stagione dura ben 8 episodi e non 6, dettaglio che aumenta a dismisura le già critiche mancanze a livello di tempistiche e ritmo. Lo ribadiremo ancora: la storia che vuole raccontare Dead City non ha abbastanza contenuto per riempire un numero tale di puntate e faticherebbe a coprire persino un film di un’ora e mezza (e ciò vale sia per la prima che per la seconda stagione); non c’è ombra di ritmo, non c’è la benché minima struttura, le ripetizioni si sprecano e i tempi morti, dove si cammina a vuoto senza neanche tentare di approfondire la miriade di personaggi secondari introdotti, diventeranno una compagnia inevitabile e costante.
L’altra motivazione che pesa come un macigno sulla valutazione è il fatto che anche quei pochi pregi vengono con un piccolo asterisco. Non faremo spoiler, ma Negan torna sì ad intrattenere, ma la sceneggiatura ci riesce solo quando imita sgraziatamente il suo apogeo, fallendo per l’ennesima volta nell’offrire qualcosa di davvero nuovo. Oppure il rapporto tra lui e Maggie subisce verso il finale un’improvvisa quanto ridicola inversione ad u, assolutamente ingiustificata e immeritata, forse nel vano tentativo di provocare uno scossone emotivo nello spettatore. Pure quando si ritrova tra le mani una carta vincente, Dead City non riesce in alcun modo a sfruttarla ed, anzi, come un boomerang ritorna per consegnare il benservito definitivo a qualunque velleità del progetto.
Gli stessi ed identici difetti
Il resto è, purtroppo, una basilare copia carbone della prima stagione e qui ci tocca aprire di nuovo la rubrica intitolata “I soliti difetti di The Walking Dead”. L’intreccio narrativo? Un susseguirsi senza soluzione di continuità di forzature e buchi di trama, tradimenti casuali ed insensati del protagonista o personaggio secondario di turno, piani e strategie che non hanno né capo né coda e salvati in extremis da escamotage tanto prevedibili quanto randomici. I personaggi? Esclusi Maggie e Negan, il resto è al confronto un insieme di cartonati privi di personalità e con a malapena delle motivazioni non per agire, ma proprio per essere presenti dentro al racconto.
E, essendo amorfi, la loro “personalità”, i loro comportamenti e le loro alleanze e interessi mutano di puntata in puntata, giusto per inserire una parvenza di conflitto in una landa dall’encefalogramma costantemente piatto. In più, non poteva mancare il vero marchio di The Walking Dead, ovvero l’eliminazione dalla storia di qualunque personaggio secondario non appena si scopre qualcosa sul suo conto pur di alzare artificiosamente la suspense. Come se tutto questo non bastasse, Dead City decide di seguire le orme di The Ones Who Live (qui vi invitiamo a riscoprire la nostra recensione di The Walking Dead The Ones Who Live), in particolare nell’accezione ridicola di uccidere personaggi in modi inesorabili, per poi farli ricomparire all’improvviso e senza (o quasi) spiegazioni qualche puntata dopo.
E si tratta soltanto delle problematiche più ingombranti. Ci sarebbe altro da aggiungere, come la totale inconsistenza del salto temporale di circa un anno, per poi ripresentare i protagonisti esattamente nella stessa situazione in cui li avevamo lasciati, con gli stessi ed identici conflitti e gli stessi ed identici rapporti. Ma nel racconto è passato appunto un anno, non poche settimane (è stato inserito solo per giustificare la crescita biologica e naturale degli interpreti di Hershel e Ginny?).
O l’altra novità che Dead City prova ad aggiungere nel suo mix è una narrazione più frammentata, dove vari personaggi si trovano in diversi punti di Manhattan. Sulla carta una discreta intuizione per evitare tempi morti e un persistente déjà vu, che nei fatti diventa una fastidiosa scusante per far scomparire e riapparire personaggi in maniera del tutto arbitraria (oltre a causare ancora più inconsistenze e buchi di trama, con personaggi che passano in pochi secondi da esperti survivalisti a incapaci di qualunque buonsenso). La seconda stagione di The Walking Dead: Dead City è, in un’unica frase, il condensato perfetto di tutti gli errori/orrori produttivi che piagano questo franchise, dai più antichi ai più recenti in assoluto.