11 ago 2025, 15:55
Ultimi aggiornamenti: 11 ago 2025, 15:55
Lo consideravano un “tombadour”, lo veneravano come un “imperatore” e l’attaccante perfetto. Si aspettavano che entrasse nella storia del calcio. Non è stato così. L’ascesa e la triste caduta di Adriano.
Nel calcio, i tiri rendono immortali i giocatori, li rendono indimenticabili, creano “dei” e grandi personaggi. Il tedesco Helmut Rahn è diventato una leggenda ai Mondiali del 1954 con un tiro dal limite dell’area. Anche il suo connazionale Mario Götze e l’uruguaiano Alcides Ghiggia potrebbero raccontare qualcosa al riguardo. Roberto Baggio, invece, ha vissuto l’esperienza opposta con un solo tiro. È bastato un tiro fatale che ha mancato il bersaglio durante la finale dei Mondiali del 1994.
I tiri hanno plasmato anche il brasiliano Adriano Ribeiro Leite. Lo hanno reso il calciatore celebrato dai tifosi come “l’Imperatore”, l’erede designato di Ronaldo, colui che avrebbe “scritto la storia del calcio”, come disse una volta il commissario tecnico della nazionale brasiliana Carlos Alberto Parreira. Il suo piede sinistro era così preciso, così potente, così forte che poteva segnare da qualsiasi posizione in campo.
Alla fine, però, sono emersi i demoni di Adriano. Quelli che hanno avuto un impatto tragico sulla carriera del 43enne, colui che Roberto Mancini, allenatore dell’Inter dal 2004 al 2008, ha descritto una volta come l’attaccante perfetto.
Un attaccante che aveva “la potenza di Gigi Riva, l’agilità di Marco van Basten e la classe di Romario”, ma che è affogato nella depressione e nell’alcol e non ha mai realizzato appieno il suo potenziale.